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Bella addormentata

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Bella addormentata

di M Valdemar
4 stelle

Adagiata in un sonno molliccio e fosco, al sicuro ed eterno riparo in una confortevole tomba scavata nelle profondità tra le macerie dell'inciviltà, la Bella addormentata è l'Italia, incapace di affrontare le questioni che investono il bene comune e individuale, se non per mezzo degli odiosissimi, onnipresenti filtri ideologici e religiosi.
Il dogma è servito. Il problema (non) è risolto.
Continuiamo pure a giacere nel mellifluo sopor.
Paradossalmente, il film di Marco Bellocchio, che aveva le carte in regola per rischiarare un po’ l’aria stantia e plumbea, funerea - e su cui tanto è stato detto e scritto, perlopiù a vanvera ed in malafede ancor prima che si avesse una sola immagine o una qualche seppur vaga notizia sulla storia -, cavalca le medesime onde disturbate, assestandosi su una piattezza debordante. Certo, la confezione è di pregio (ottima la fotografia satura di Ciprì) ed il richiamo è garantito da tanta - spesso involontaria - pubblicità, ma francamente il risultato è alquanto deludente.
Quello di Bellocchio è un brutale intervento a cuore aperto, a cui, però, manca proprio il cuore: elemento evidentemente non essenziale, perché ciò che si erge ad (irrinunciabile) principio fondamentale è la rappresentazione stessa, la dimostrazione. Tanti piccoli saggi esposti ad emblema di vanità ed autogodimento. Piccoli pezzi di bravura (o tale creduta) come ad illustrare meccanicamente le variabili dell’operazione: in sostanza un progetto a (tutte le) tesi.
Ma i pezzi non si incastrano, fanno solo chiasso e confusione: l’eccessiva frammentarietà delle storie non coinvolge, non appassiona, rendono solo l’atmosfera asfittica e zoppicante, d’una pesantezza che rasenta l’inconsistenza.
Rinchiuso in una cerebralità autoreferenziale e gelidamente metodica, il film non spiega le ali, tutto concentrato su di sé e su di un equilibrio forzato le cui componenti creano disarmonia e talora incredulità perché del tutto accessorie. C’è tanto, c’è troppo: personaggi carichi, dialoghi densi, scene forti, monologhi-verità. Ma non di rado imbarazzanti e (fieramente) salmodianti, in maniera invadente e che non ammette repliche né tantomeno partecipazione.
Subire, soltanto subire, ché il compit(in)o è perfetto e non scontenta nessuno.
La (triste) realtà è che l’omnicomprensiva formula risolutrice/rivelatrice di Bellocchio dice tutto per non dire niente.

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