Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Bella addormentata è l’Italia che non ascolta, che pensa al proprio tornaconto, l’Italia egoista e con evidenti carenze. Questa idea, che dietro quel titolo evocativo ci sia una miriade di riferimenti attinenti alla coscienza nazionale, è molto diffusa e, per quanto pertinente, non è esaustiva. Bella addormentata è innanzitutto una persona, come oramai è chiaro anche alle pietre: è Eluana Englaro, attorno al cui dramma un Paese intero disse e fece qualunque cosa nell’arco di qualche mese (dopo diciassette anni di stato vegetativo), pensando più a se stesso (un Paese per sempre disunito, diviso in mille e più anime) che al destino del soggetto direttamente interessato.
Ma è anche la figlia di una grande attrice che dorme da troppo tempo, un senatore che ha per troppo tempo dimenticato di avere avuto un passato estremamente diverso dal presente che gli hanno imposto (e che si è voluto imporre), una tossica che vuole farla finita più per sereno sconforto che altro. Come già qualcuno disse in tempi molto diversi ma in qualche modo analoghi, è il sonno di una nazione che dorme per disperazione ed inettitudine.
Conoscendo il suo autore, Bella addormentata è un film tutt’altro che semplice, tutt’altro che ovvio, in cui non solo ci sono doppie letture e sottotesti, ma soprattutto c’è una storia che non sa essere soltanto la storia di alcune persone legate in qualche modo alla vicenda di Eluana. È un film sull’Italia, certo, ma è prima di ogni cosa un film sulla gestione del dolore. Così come gli integralisti cattolici leggeranno l’opera come una presa di posizione a favore dell’eutanasia (giudizio idiota oltre che superficiale), così i laicisti prenderanno il film come la bandiera di ogni tipo di libertà (lo sarà pure, ma a noi che garba il cinema dovrebbe interessarci principalmente altro).
Ed entrambi non si renderanno conto di una cosa: Bella addormentata è un film delicatissimo, da prendere con le pinze, sulla coscienza personale (il senatore Uliano Beffardi che vuole andare contro il partito per votare secondo coscienza; il medico che veglia la tossica contro tutto e tutti; la grande attrice che aspetta il risveglio della figlia rendendo la vita impossibile ai suoi cari) e sulla fatalità (la cattolicissima figlia di Beffardi che conosce per caso di un ragazzo laico di cui si innamora come si innamorano i giovani alla prima esperienza d’amore; il figlio dell’attrice che dimentica la poesia di Jacopone da Todi dedicata alla Vergine che piange la morte di Gesù; la tossica che cerca di uccidersi e viene salvata), sulle conseguenze dell’amore (la moglie di Beffardi, i figli dell’attrice dal diverso destino, il medico che veglia la tossica) e sull’impossibilità di una qualche certezza.
Il grande (detto senza retorica) Marco Bellocchio non ha bisogno né di avvocati difensori né di esegeti adulatori, perché il suo è un cinema storicamente personale e naturalmente contro, e Bella addormentata è a suo modo una summa della sua carriera in cui si incontrano molte, se non tutte, le sue tematiche. La religione, tra spiritualità e scetticismo, fede e dubbio (Nel nome del padre, L’ora di religione); il rapporto tra vittima e carnefice, qui affrontato in maniera molto particolare perché la vittima riesce paradossalmente ad essere involontario carnefice di chi continua a vivere o si ostina a voler vivere (La condanna, Vincere); l’analisi, intesa come autoanalisi o per conto terzi (La visione del sabba, Il sogno della farfalla); la borghesia, incapace di cogliere tempestivamente il cambiamento del mondo di cui si sentiva padrone (I pugni in tasca, La Cina è vicina); e così via.
Al di là di questo sterile citazionismo che fa felice solo i cinefili o chi ha qualche interesse per colui che, attualmente, è tra i tre o quattro migliori registi italiani in attività con una certa esperienza dietro le spalle, bisogna assolutamente dire che, nonostante sia un capitolo importante del cinema dell’autore di Bobbio (che, incredibilmente, riesce a diventare, a settant’anni, un piccolo blockbuster che più d’autore non si può – visti i pesi massimi della recitazione coinvolti), Bella addormentata è un film fondamentalmente irrisolto. Vive di un accumulo non sempre ben organizzato, si perde talora in troppe strade con un’ansia bipolare (non vuole schierarsi del tutto ma sa che il suo pubblico di riferimento pretende stupidamente uno schieramento). I personaggi sono simboli, quasi schematici, abitano storie evocative e parlano in maniera molto netta.
E dubito, parlando direttamente di dialoghi, che l’esperto Marco (che in sede di sceneggiatura si è fatto assistere da Stefano Rulli, già suo collaboratore in Matti da slegare, e Veronica Raimo) abbia scritto certe battute senza sapere di essere tremendamente didascalico, considerando poi che in molti altri casi riesce ad essere ben più che ficcante (tutti i siparietti del meraviglioso Roberto Herlitzka, senatore berlusconiano nonché “psichiatra che dà medicine”, parlano da soli). Probabilmente è una scelta dettata da un bisogno di semplicità e di abolizione di determinate sovrastrutture che ha l’obiettivo di non distogliere l’attenzione dal tema principale (l’elaborazione del dolore in ogni sua forma: per la morte, per l’amore, per se stessi), ma che in ogni caso si aggiunge ad una serie di perplessità che non mi convincono appieno.
D’altro canto, l’urgenza dell’opera è encomiabile e si possono perdonare anche la prevedibilità dell’azione e qualche cosa qua e là irrisolta: è un film rigoroso e claustrofobico, cupo e angoscioso, dolente e riflessivo, rispettoso e libero. E sopra ogni cosa fa piacere come Bellocchio non rinunci ad un’ambizione sempre più rara in un cinema italiano generalmente timido o velleitario, rischiando grosso ma portando comunque a casa il risultato grazie pure ad un gruppo d’attori particolarmente ispirato, su tutti Isabelle Huppert, attrice ritirata e religiosamente invasata, divina mater dolorosa da urlo, e Toni Servillo, misuratissimo che gioca di sottrazione, con un monologo da brividi.
Curiosità: Piergiorgio Bellocchio (bravissimo) aveva già recitato con Maya Sansa in Buongiorno, notte e si chiama Pallido così come Lou Castel si chiamava Pallidissimi ne Gli occhi, la bocca.
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