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Gli anni luce

Regia di Alain Tanner vedi scheda film

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La recensione su Gli anni luce

di Peppe Comune
8 stelle

Jonas (Mick Ford) è un giovane ragazzo che lavora in un bar cittadino. Un giorno capita nel locale Yoshka Poliakoff (Travor Howard), un vecchio meccanico che da anni si è dato ad uno studio approfondito sugli uccelli. Questi nota l’insofferenza di Jonas verso il lavoro che fa e gli piomba in casa lasciandogli un libro e un indirizzo. Jonas decide di seguire le tracce di quell’uomo, così, senza nessun motivo apparente, mosso solo dalla voglia di riscoprirsi “libero come un uccello” e di aprirsi alla conoscenza del mondo. Jonas arriva alla vecchia stazione di servizio un tempo gestita da Yoshka, in una zona sperduta in mezzo alle colline. Ora è diventata un cimitero per le auto e il vecchio è sempre chiuso in un capannone dove non fa entrare nessuno. Tra i due si instaura da subito un rapporto assai complesso, Yoshka esorta Jonas a compiere delle azioni che rasentano l’assurdo e che paiono ricalcare dei veri e propri esercizi spirituali. Tuttavia, saranno utili per conquistarsi la fiducia incondizionata del vecchio e necessari per trasmettergli il suo sapere e iniziarlo al suo segreto : la suprema libertà del volo.

 

 

“Gli anni luce” di Alain Tanner rappresenta la prosecuzione ideale di “Jonas che avrà vent’anni nel 2000”, sia perché è intriso di quello stesso ottimismo tutto riposto in uomini che non cessano di spingersi oltre i confini imposti dalla mera accettazione della realtà sensibile, che per come ondeggia tra descrizione del reale e realtà desiderata senza perdersi in gratuiti didascalismi. Anche questo film vuole essere un apologo sulla società moderna rappresentato in forma ampiamente allegorica e se non arriva a possedere l'armonia stilistica e la stessa ricchezza di contenuti concettuali del capolavoro che lo ha “idealmente” preceduto, mantiene intatta quella raffinata delicatezza di linguaggio che non consente mai alla lucidità di analisi critica che s’intende ricercare di farsi giudizio morale. Non si fa mai riferimento alla vita passata del ragazzo e nessun indizio ci riconduce all’esperienza di vita di quelle otto persone (genitori compresi) che lo adottarono come “figlio spirituale” perché in lui doveva racchiudersi il meglio delle rispettive personalità (faccio sempre riferimento a "Jonas he avrà vent'anni nel 2000"). Sappiamo solo che si chiama Jonas e che, essendo nato nel 1975, ha da poco compiuto venticinque anni (lo dice chiaramente durante un colloquio con un avvocato). Le assonanze tra i due film sono da ricercarsi tutte nell’atmosfera quasi “favolistica” che li contraddistingue, nel fatto che i protagonisti si scoprono capaci di guardare al futuro con rinnovato ottimismo nel mentre assaporano tutta la precarietà esistenziale del presente. Il modo del tutto occasionale in cui Jonas e Yoshka si incontrano, l’intesa che subito scaturisce tra i due e che spinge il ragazzo ad abbandonare tutto per seguire le traccie di quell’uomo misterioso, ci fanno capire che l’uno deve rappresentare la necessaria prosecuzione dell’altro, che se Yoshka è arrivato al culmine di un percorso di ricerca, Jonas è destinato ad ereditarne i segreti. Jonas rappresenta il desiderio istintivo di concedersi ai misteri del mondo, Yoshka l’innata propensione a carpirne l’essenza profonda senza fermarsi alla forma esteriore delle cose. Il ragazzo incarna la sete di conoscenza e la voglia di spingersi oltre il limite dato dalle proprie consapevoli facoltà intellettuali, il vecchio l’urgenza di trasmettere i frutti del proprio sapere a chi si dimostra idoneo per la loro custodia. L’ammasso di ferraglia arrugginita che invade la vecchia stazione di servizio, il grigiore dei luoghi, il disordine imperante, l’inaffettività tutta “cittadina”che caratterizza gli estemporanei rapporti umani, nel mentre ci danno notizie concrete sulla reale degradazione etica della società, aumentano per contrasto il carattere totalmente alieno dei personaggi, la loro estranietà a un mondo che viaggia spedito su binari paralleli, un mondo di cui cercano di penetrare il nucleo originario attraverso l’assoluta liberazione dei sensi. E’ la carica utopica insita in ogni azione desiderata ad alimentare la vita e a tenere sempre accesa la fiamma della speranza per un domani migliore. Questo sembra suggerir(mi)ci Alain Tanner, con tono sempre leggero e mai declamatorio, come una favola adulta raccontata per provetti sognatori. In questo film che è un piccolo gioiello da recuperare, possibilmente non prima del capolavoro che lo ha preceduto.

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