Regia di Amanda Forbis, Wendy Tilby vedi scheda film
Tredici minuti di animazione per raccontare il naufragio di un progetto di vita. Alcuni disegni semplici e poco movimento bastano a dipingere il languido ritratto di un avventuriero mancato, che si abbandona ai sogni, fino a quando è ormai troppo tardi per svegliarsi. Il protagonista di questo corto d’animazione, candidato al premio Oscar 2012, si potrebbe definire un “bamboccione” in trasferta: è un giovane di buona famiglia che, nel 1909, parte dall’Inghilterra alla volta del Canada, sperando di fare fortuna come imprenditore agricolo. I soldi investiti nell’impresa sono quelli dei genitori, mentre lui non ci mette nemmeno l’impegno, limitandosi a godere la bellezza del paesaggio e l’emozione di quella nuova forma di libertà. La tragedia lo attacca inaspettatamente, dopo aver covato a lungo nel silenzio della campagna d’estate, dove è bello restare sdraiati ad immaginare un futuro idilliaco, lontano dagli occhi di chi potrebbe giudicare. L’isolamento significa pace, fino a che, su quel vuoto sconfinato, non si allunga la fredda ombra della solitudine. Il western è solitamente concepito come un genere corale, perché ispirato alla storia di un popolo, e alle vicende legate ad un conquista collettiva. Qui, invece, il traguardo da inseguire è una fantasia individuale, che, più che segnare un’epoca, caratterizza una particolare fase della formazione della persona. C’è un uomo che vorrebbe crescere e diventare autonomo fuggendo dalla casa paterna: la meta più logica, per lui, è il nuovo orizzonte del momento, quel continente americano che, agli inizi del Novecento, è il mitico approdo di tutte le aspirazioni di gloria e prosperità. Quel giovane vive la leggenda attraverso il filtro del privilegio, quello che istintivamente lo spinge a separarsi dal resto dell’umanità, per imboccare, all’interno della grande corsa, un proprio corridoio riservato, confidando nella certezza che la fortuna continuerà a baciarlo. Nella sua assorta speranza, è un pioniere della contemplazione, che ammira il mondo intorno a sé e si pone domande volutamente senza risposta. Nell’ozio, si lascia trasportare dalla poesia dei dettagli – una gazza, un dente di leone, una chiocciola - che è un lusso intellettuale dalle tinte bucoliche, e fa subito perdere la visione d’insieme. Il suo percorso diventa interiormente ambizioso, ma inconcludente nei fatti, idealmente indirizzato verso l’infinito, in cui nulla può avere mai termine. La sua mente guarda verso il cielo, immaginando di abbracciare l’universo, ignorando dove lo condurrà quella traiettoria così ardita. È come una cometa che si sente inondata di luce, e non sa che tra poco si staccherà dal Sole, per immergersi nel buio e tornare ad essere, per centinaia di anni, un blocco senza splendore, una miscela di ghiaccio e polvere che, per qualche ragione, non è riuscita a diventare parte di un pianeta. Wild Life è il racconto di un cammino che sta a lungo fermo ad aspettare qualcosa che non arriverà mai, per poi decidere, drammaticamente, di trasformarsi in un funesto vagabondaggio.
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