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Il lercio

Regia di Jon S. Baird vedi scheda film

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Tato88

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La recensione su Il lercio

di Tato88
8 stelle

Questa recensione va scritta di getto:

Il lercio non ha rispetto per nulla. Il lercio insulta il mondo, la natura e l'umanità. Il lercio dissacra.
Dissacra ogni cosa. L'innocenza dei bambini, l’infanzia, le donne, gli amici, l'amicizia, le amanti, l'amore. Il lercio prova piacere nel dissacrare tutto ciò che tocca, anche solo col pensiero.
Per dissacrare l’indissacrabile, si è scelto addirittura di ambientare l’intero film durante le festività natalizie, che danno non poche opportunità al protagonista di dare il meglio di sé. Le canzoni anch’esse natalizie favorisco poi numerose sequenze di dissonanza cognitiva al limite della blasfemia che a conti fatti risultano essere l’elemento più disturbante di tutta l’operazione.
Il lercio riesce a dissacrare persino i suoi spettatori. Complice chiaramente il regista, i divertiti e frequenti sguardi in macchina che non possono fare a meno di divertire anche lo spettatore (e far impazzire il cinefilo) lo rendono necessariamente suo complice, testimone impotente e favoreggiatore di uno stile di vita strafottente e arrogante e irriguardoso.
Il Montaggio certo non aiuta a darci di lui un’immagine migliore: schizzato, scoordinato, tronco, allusivo, eccessivo, lercio! Giusto la fotografia sembra avere un minimo di ritegno, mai troppo underground o difficile da digerire.
Il regista, pressochè esordiente, ha fatto un lavoro esemplare. C’è arte e commedia, tensione e trash (mamma mia che finale!) in un mix inedito assolutamente consigliato a chi ha voglia di vedere il mondo rinnovarsi fuori dalla sala cinematografica dopo che il film in questione l’ha demolito e riportato al suo stadio primordiale di “bestia”. E la vera star è un magnifico James McAvoy, che come Danny Trajo per “Machete”, sembra nato per interpretare il Lercio.

Rimarrebbe giusto una domanda ad aleggiare costante sopra le poltrone della sala gremita di gente: Perché? Perché tutto questo progetto? Quasi ci si vergogna a giustificarlo con un tradizionale “Art for art sake”. Nel dubbio, ci pensa la sceneggiatura a moralizzare e discolpare in parte le azioni del protagonista, con un trascorso in parte un po’ inflazionato ma comunque presentato gradualmente in maniera originale. Moralizzazione che in conclusione il personaggio ormai avvezzo al lerciume decide coerentemente di ignorare.

Ripeto: imperdibile!

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