Regia di Christian Vincent vedi scheda film
Ecco il film che potrebbe ripetere il successo anche italiano di “Quasi amici”: la storia semiseria di Hortense Laborie, cuoca generosa e schiva che dalle campagne del nord della Francia approda all'Eliseo a far mangiare il presidente, diventa ora una pellicola di successo, briosa ma senza rinunciare ad un sottofondo amarognolo, dato che invidia e usurpazione di status altrui sono sentimenti negativi molto diffusi e sempre presenti in tutti i contesti e le situazioni della vita; figuriamoci quando si diventa responsabili di un simile incarico di livello istituzionale. Un film che, come in una favola, mostra come passione ed impegno riescano ad elevare una buona cucina - ispirata ai più tradizionali valori dell’arte casereccia e dell’esperienza popolare che ha saputo tramandare nel tempo quei sapori antichi oggi sempre più difficili da trovare - ad una vera e propria forma d’arte.
Come accadeva nel capolavoro di Gabriel Axel “Il pranzo di Babette”, ma espresso questa volta in chiave moderna ed ambientato in ben altra situazione: siamo infatti a Parigi, ai giorni nostri, nel palazzo dell’Eliseo, dove un serio funzionario di Stato contatta una gentile bella cinquantenne, Hortense appunto, su consiglio e raccomandazione di un conoscente, affinché la donna, esperta cuoca ambasciatrice di ricette all’insegna della tradizione più tipica, prenda le redini della cucina personale riservata all’anziano Presidente della Repubblica, stanco di cibi artefatti ed impeccabilmente finti, e desideroso di un menù più casalingo che gli faccia tornare alla mente e sul palato i ricordi dei sapori schietti della sua giovinezza contadina e della cucina materna.
Ma siamo anche contemporaneamente in una base antartica poco sotto l’Australia, dove la stessa Hortense un paio di anni dopo si trova per concludere un incarico che l’ha volontariamente allontanata da quella esperienza prestigiosa ma al tempo stesso logorante, che le ha lasciato addosso bei ricordi ma pure amarezza e sconforto.
Il film si giostra abilmente tra una ambientazione e l’altra con una disinvolta alternanza di situazioni che non necessitano di particolari precauzioni narrative volte a non confondere lo spettatore, tanto sono dissimili le due ambientazioni e tanto e' nettamente marcata la differente situazione umorale e caratteriale della protagonista.
Brillante, ben girato, semplice e diretto molto (ma non solo) alla carineria che sa farsi piacere dal pubblico facile alla fascinazione della piacevolezza, il film è pure un attentato terroristico al palato dello spettatore, sempre piu' incline alla sollecitazione tentatrice di ciò che si impiatta sullo schermo, e che magari digiuno e avvinto dagli istinti incontrollati di una appetito crescente e contagioso ispirato da certe prelibate visioni culinarie, rischia senza troppe fantasie di trovarsi a rosicchiare la testata della poltrona che gli sta davanti.
Inoltre il film non rinuncia ad approfondire con una certa sottigliezza i sentimenti e le amarezze di una protagonista dolcemente battagliera, ostinata con garbo, gentile ma risoluta sulle sue posizioni, soprattutto quando sa di avere ragione.
E proprio in quel momento la pellicola ci sorprende con i piatti elaboratissimi e succulenti di una cucina francese d’alta classe, ricca e opulenta anche quando il filo del discorso ci vuole far credere che si tratta di una scuola di tradizione popolare, povera, non artefatta e sincera, votata alla semplicità e alla schiettezza del sapore contadino dei nonni. In quel frangente non possiamo esimerci dal pensare alla semplicità ed elementarità di alcune ricette della dieta mediterranea tipicamente italiana, rendendoci conto altresì di come viaggino anni luce distanti due concezioni culinarie di due paesi così vicini ma così differenti nelle loro tradizioni.
E ci sorprende pure come la ricca e sofisticatissima “haute cuisine francaise”, elaborata e costosa da essere inaccessibile ai più, almeno tutti i giorni, ma pure l’alimentazione francese in generale - che punta molto più della nostra sui grassi saturi e animali e che sceglie di non commercializzare ad esempio la mozzarella perché non la ritiene sicura dal punto di vista della corretta conservazione - possa comunque far sì che il popolo francese si presenti notoriamente come uno tra quelli più mediamente in forma, senza casi eclatanti di obesità che a prima vista si potrebbero presagire inevitabili a seguito di una cucina a base di paté, mostarde, salse piccanti, salumi e formaggi grassi ed appetitosissimi.
E a proposito di “forma”, Catherine Frot è fantastica, dolce e persino sensuale nei panni della cuoca dell’Eliseo, fragile ma determinata a fronteggiare non tanto la responsabilità di farsi apprezzare da un capo di stato dolce ma determinato (disegnato a sentire la cronaca un po' sulla falsariga del presidente Mitterand, ma in realtà qui molto più umano e simpatico) bensì a tener testa alla parallela professionale, ma non per questo appassionata ne tantomeno accurata cucina di palazzo, dominata da maschilismo ed arroganza, oltre che da invidia e meschinità.
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