Regia di Ivan Zuccon vedi scheda film
Nel racconto di H.P. Lovecraft Il colore venuto dallo spazio, un meteorite caduto in campagna provocava alterazioni nella natura e apriva abissi di follia negli uomini: «Era soltanto un colore venuto dallo spazio, messaggero spaventoso degli informi reami dell’infinito». Zuccon rinuncia all’impianto Sci-Fi dell’autore prediletto. Nessun meteorite nell’Italia contadina del 1943: soltanto l’acqua di un pozzo contaminata da forze demoniache, che in una settimana possiedono le sorelle Lucia e Alice trascinandole in contorsionismi allucinatori ben oltre la logica del racconto. Dopo l’orrore materico di Nympha, il regista trascende la materia e si abbandona anima, corpo e camera alla metafisica lovecraftiana e alla ruralità di genere avatiana (Zeder), inoculando con parsimonia sequenze splatter (pregevoli effetti di Massimo Storari) nel tessuto di un film che fa delle sospensioni di atmosfera e narrazione le proprie motivazioni artistiche. L’inquietudine - veicolata da striscianti carrelli e da un tappeto sonoro disturbante - trova forma nella putrefazione dei frutti, della pelle di Lucia (Debbie Rochon, la Juliet della Troma) e delle simbologie cristiane, costantemente evocate e brutalmente decostruite. Il paesaggio domestico e anatomico degenera lentamente, senza strappi, in quadri di coerente intensità formale, mentre le porte degli inferi si spalancano per accogliere una dopo l’altra le anime consenzienti. Che il nostro horror si tenga stretto Zuccon.
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