Regia di Ivan Zuccon vedi scheda film
Interessante horror di produzione italiana e, soprattutto, dimostrazione pratica che quando si hanno buone idee e capacità professionali anche con un budget ridotto è possibile creare opere interessanti e di indubbia qualità.
Ivan Zuccon, regista e collaboratore di Pupi Avati, parte da un racconto di Howard Phillips Lovecraft, The Colour Out of Space (Il Colore venuto dallo Spazio), spostandone però l’ambientazione e l’epoca: non più l’immaginario New England di fine 800, sfondo costante dei racconti del Maestro di Providence, bensì l’assolata campagna emiliana nel 1943.
In un casolare una famiglia di contadini conduce una vita tranquilla, lontano dagli echi della guerra. Pietro il capofamiglia segue il lavoro dei campi in attesa del ritorno dal fronte del fratello Luigi; con lui vivono la moglie Lucia (Debbie Rochon, reginetta delle produzioni Troma) e la di lei sorella Alice, affetta da un ritardo mentale.
La pacifica esistenza della famiglia viene sconvolta dalla presenza, nel pozzo di casa, di una entità misteriosa che si manifesta attraverso strani luccichii e sulla cui provenienza (giustificata nel racconto originale dalla caduta di un meteorite) non viene spiegato alcunché.
Inizialmente la presenza aliena sembra portare benefici (la terra produce frutti rigogliosi, la gamba malata di Pietro – motivo per cui non è partito per la guerra – pare risanarsi) ma ben presto gli effetti nefasti della maligna entità vengono esplicitati in tutta il loro orrore.
I frutti rigogliosi sono immangiabili, la vita sembra fuggire dalle terre infestate e tutto viene avvolto dalla decadenza e dalla putrefazione.
Ma è soprattutto il destino di Lucia a provocare orrore: la donna manifesta rapidamente segni evidenti di una possessione che obbligheranno il marito a rinchiuderla in soffitta e a chiedere l’aiuto del parroco, il quale tenterà inutilmente di praticare un esorcismo.
L’allucinante vicenda infine coinvolgerà anche Giovanni e Anna, padre e figlia che vivono nella vicina fattoria, fino alla tragica conclusione.
Se è facile riconoscere a Zuccon il merito di aver realizzato un buon film con pochi mezzi (assai più spaventoso di produzioni più rinomate), c’è un’altra qualità che contraddistingue questo lavoro e cioè l’aver mantenuto intatti, pur in una ambientazione differente, gli stilemi alla base della filosofia di Lovecraft.
In primis la dimensione onirica così tipica dei racconti del Solitario di Providence, esplicitati in una sovrapposizione continua tra realtà e sogni (anzi incubi) che affliggono i protagonisti.
Poi la negazione della spiritualità e della religione (che nulla può contro gli orrori generati dalla misteriosa entità): il fallimento dell’intervento del Prete appare come il fallimento del castello di credenze a cui i contadini sono legati, il male non è spiegabile come presenza satanica ma come un qualcosa che travalica ogni comprensione umana (e nel racconto originale del resto era chiaro che si trattava di manifestazioni di origine extraterrestre).
Ed infine il finale assolutamente spietato e per nulla consolatorio, e dunque così tipicamente lovecraftiano.
Non stupisce quindi, alla luce di quanto sopra, che sia stato premiato come miglior film all’HP Lovecraft Film Festival di Portland nel 2009.
Pellicola vivamente consigliata agli appassionati dello scrittore di Providence, ma assolutamente di qualità e dunque godibile da qualunque fan del cinema horror.
A questo punto sarebbe davvero interessante vedere Zuccon alle prese con un budget ben più consistente: ci aspettiamo molto da questo giovane regista!
“ Che cosa sia, Dio solo lo sa. In termini di materia suppongo che la cosa sia un gas, ma obbediente a leggi che non sono quelle del nostro cosmo; non è il frutto dei pianeti o dei soli che splendono nei telescopi […] non è un soffio dei cieli di cui i nostri astronomi misurano i moti e le dimensioni […] era soltanto un colore venuto dallo spazio, messaggero spaventoso degli informi reami dell’infinito, al di là della natura che conosciamo “ (Howard Phillips Lovecraft, Il colore venuto dallo spazio 1927)
Eccellenti doti, almeno nel campo dell'horror. Realizza una buona pellicola con pochi mezzi, e se il suo maestro dichiarato è Pupi Avati (l'influenza si vede soprattutto nella ambientazione in un contesto rurale che perde ogni romaticismo per immergersi in atmosfere inquietanti), nell'inventiva dimostra di avere come nume tutelare il grande John Carpenter. Lo aspettiamo al varco per il futuro.
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