Regia di Leonardo Di Costanzo vedi scheda film
Un mistero tipicamente italiano. Leonardo Di Costanzo, documentarista napoletano amatissimo in Francia dove il suo lavoro è studiato e apprezzato, è pressoché sconosciuto in patria. I festival internazionali come Parigi e Nyon si contendono i suoi lavori, mentre da noi se ne ignora (quasi…) persino l’esistenza. Scritto in collaborazione con Mariangela Barbanente e Maurizio Braucci, L’intervallo è uno dei titoli italiani più sorprendenti degli ultimi anni. Nonostante alcune incertezze a livello di scrittura, il film, racconto di un breve incontro forzato all’ombra dell’asfittico sistema camorristico, è una ronde sospesa e incantata affogata nelle viscere tufacee di Napoli. Mimmo, un ragazzo appena adolescente, è costretto da un boss locale a sorvegliare in un enorme stabilimento disabitato la coetanea Veronica, rea di avere dato retta a un ragazzo appartenente a un clan rivale. Poco alla volta i due mettono da parte la reciproca diffidenza e iniziano a esplorare l’enorme costruzione vuota, dando vita a un gioco di complicità che il sopraggiungere del camorrista riconduce bruscamente alla realtà. Di Costanzo, rispetto ai patentati predicatori liberal, si distingue per il suo sguardo potente e pudico. Evita sermoni e si abbandona alla sensualità di un dialetto napoletano serrato e fascinosamente oscuro. La sua macchina da presa esplora con partecipazione i cunicoli dell’edificio abbandonato evocando i fantasmi della Ortese (il racconto riguardante la bimba morta) e Rossellini (i due ragazzi come un’escrescenza inevitabile dei protagonisti di Napoli 1943, episodio di Amori di mezzo secolo). Oggi, come allora, si vive e si resiste sottoterra. In questo senso il film di Di Costanzo sembra dialogare con il Bertolucci di Io e te e con L’estate di Giacomo di Comodin. E, come tutti i grandi cantori del reale, riesce a commuovere, convincendoci che il mondo, così come lo conosciamo, può anche scomparire per un momento e fare spazio ad altro. E, poi, raramente Napoli è stata filmata meglio in tutte le mille sfumature delle sue “cadenze d’inganno”.
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