Regia di Xavier Dolan vedi scheda film
L'immagine-puttana.
La summa del cinema di Xavier Dolan, la sua forma più debordante, lussuriosa e facilona. L'entusiasmo del ragazzo sprizza da ogni inquadratura, così come la consapevolezza che il giovane regista canadese abbia inteso la formula pour plaisir ed essere finalmente in prima fila nei circoli festivalieri. Un film, si diceva, debordante, Laurence Anyways, ma sempre dentro i confini della sicurezza, senza che mai osi davvero. Pieno di svolazzi, di sequenze leccate/laccate, di sincronie immagini-suono, di vezzi fini a se stessi e citazioni un po' a casaccio (ma, ehi, vale il ragionamento del dripping di Pollock, come ci insegnò in J'ai tué ma mère, quindi va bene così..). Di emozioni fasulle di cartapesta, da rendere immediatamente evidenti con una forma apparentemente anti-narrativa e umorale, in realtà ammaestrata e pregna di calcolo e di furbizia. Dolan si svela, in Laurence Anyways, ma non sa di starsi svelando. Si arrampica sugli specchi dell'emulazione (già in J'ai tué ma mère trovava affascinante citare A clockwork Orange con il montaggio, qui cita l'intero pantheon filmico kubrickiano con ossessioni quasi andersoniane per la simmetria), e cade fragorosamente in una maniera insistita e prolungata, frantumando i vetri. Una finta consapevolezza filmica lo spinge a riproporre senza costrutto artisti come Wong Kar-Wai e a schiacciarli al di sotto del suo spropositato ego trasformandoli in mero mezzo, e non in ricerche espressive o tentativi di innovazione. Di fatto, Laurence Anyways boccheggia e ristagna in un mare di superficialità, in cui non esiste né trama, né estetica, né tantomeno Cinema. Un film che si vanta della sua originalità e del suo anticonformismo, pensando (o volendo illudere) di professare una libertà che non c'è, perché irrigidita da una invadente fase di scrittura e da un lavoro, in sede di montaggio, ridondante e assai schematico (scene dialogate e scene oniriche si alternano con pedante puntualità). A nulla fungono i virtuosismi della fotografia e l'attenzione per i colori, né tantomeno l'utilizzo farraginoso dello slow-motion: Laurence Anyways non si sbilancia, alternando, come i migliori prodotti 'per tutti', risate e lacrime, senza far minimamente affezionare ai suoi personaggi, né alle loro trasformazioni (peccato per Suzanne Clément, mentre Melvil Poupaud si riconferma pesce lesso infinito). Un film che svende il Cinema e i suoi tesori, e si prostituisce per il gusto del pubblico, convincendolo per pochi denari di essere intelligente.
Finché non si prende sul serio (Les amours imaginaires) o non imita se stesso (Tom à la ferme) va anche bene, sta al suo posto, ma quando Dolan vuole fare l'autore e sparare le sue trovate prive di fondamenta e di urgenza, rivela la più grande verità sul suo cinema: dopo ben 5 film Xavier Dolan non ha uno stile. Nonostante le capriole estetiche, i dialoghi urlati (a momenti manca Muccino), e le lunghissime quasi-tre ore di Laurence Anyways.
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