Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film
Adattamento di una pièce di Raul Brandão, Gebo e l’ombra (in sala a 2 anni dalla prima veneziana e dopo il passaggio tv su Fuori orario) mette in scena un gruppo di famiglia in miseri interni, a flebile lume di candela, oppresso dall’ombra sfiancante d’una assenza: la madre che attende il ritorno del figlio, il padre che le mente per tenere insieme i suoi fragili sogni, la moglie che, semplicemente, si lascia teneramente sopravvivere, uncinetto e nient’altro alla mano, sotto il tetto dei suoceri. Quando il figlio varca la soglia del focolare, la miseria, il suo onore e i suoi lamenti si frantumano di fronte all’irrompere di una realtà ulteriore e deteriore, irrecuperabile. E il padre, per garantire che in questo primordiale teatro d’ombre l’illusione della madre non scompaia, si consegna alla Legge in vece del figlio. È un dono d’amore per una donna, un gesto responsabile, colposo e sacrificale nei confronti della generazione seguente, un’uscita di scena, un atto di fede ultimo nel cinema, nelle sue bugie, mentre tutto s’inonda di luce. Si discute d’etica all’epoca della crisi economica, si svestono bugie e le si reindossano perché necessarie, in questo film parlato memore dell’economia estetica del muto, composto da tableaux vivants che sospendono il reale nell’apologo morale, abitato dai corpi monumentali di attori che sembrano spettri leggiadri e inquietanti, strani casi d’Angelica, ombre proiettate dal nostro presente. Ultimo dei primitivi e primo dei moderni, De Oliveira sa sempre - sempre - essere contemporaneo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta