Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film
Era già da qualche anno che l’anziano maestro portoghese pensava ad una storia che avesse per protagonista la povertà, il ceto umile che stenta a sostenersi e l'opera letteraria di Raul Brandao gli e' sembrata la giusta occasione per uscire dagli schemi ormai collaudati e ormai sapientemente rappresentati. Forse proprio da quando qualcuno gli fece notare che tutte le sue notevoli opere sono accomunate dal fatto di avere come protagonisti o di veder coinvolti personaggi appartenenti alla borghesia medio-alta, se non al ceto più altolocato e forse anche, aggiungo io, un po’ a disagio considerando quest’epoca di crisi, forse più seria, acuta e duratura da quando, ad inizi ‘900, il giovane Manoel iniziò a percorrere il suo lungo, tortuoso e gratificante percorso culturale e di vita.
Alla soglia quasi impossibile delle 104 primavere - traguardo al raggiungere del quale ci si potrebbe sorprendere anche solo al fatto di riuscire a respirare, di riuscire ancora a pensare con lucidità, figuriamoci anche solo ipotizzare di farsi carico di dirigere un film all’anno come fa regolarmente da ormai piu' di un trentennio - de Oliveira ci sorprende con un nuovo piccolo gioiello che trova sfogo in un intimo focolare domestico, progettato, costruito e ripreso con minuzia nella sua scarna, povera ma non certo fredda ambientazione d’interni; a ciò il maestro antepone una breve ma intensa, suggestiva soggettiva in esterni (almeno in via teorica, dato che si tratta anche in questo caso di una meravigliosa scenografia di stampo teatrale che simula efficacemente uno scorcio portuale, ripreso poi nel bellissimo manifesto) che ritrae il momento del ritorno a casa di Joao, sciagurato figlio del protagonista.
Gebo è un vecchio contabile coscienzioso e irriducibile lavoratore, che continua a tenersi impegnato corpo e mente, nonostante l’età avanzata, perché in fin dei conti l’unico in grado di mantenere la famiglia con un introito modesto ma continuativo; la sua famiglia comprende la devota moglie Dorotea e la nuora Sofia, entrambe in fremente attesa dello scapestrato figlio e marito, sempre in giro per il mondo a tentare (invano), con truffe ed imbrogli, di arricchirsi alle spalle altrui.
Se da un lato il ritorno del giovane riesce a placare almeno inizialmente le ansie materne, la situazione si complica durante una uggiosa serata di pioggia dopo che i familiari, ricongiuntisi attorno al tavolo assieme a due anziani amici nostalgici e sognatori, ritornano con la mente alle memorie di un passato sempre piu' bello e facile dell'attuale condizione di vita. In quella occasione, dopo aver discusso delle nostalgie dei bei tempi giovanili, della funzione elevatrice e rassicurante dell’arte che protegge e difende dalle insidie e dalle disgrazie della vita, mentre Gebo non si arresta un minuto il suo computo inarrestabile che lo impegna e sembra dargli quella sicurezza che una vita di ristrettezze non è mai riuscita ad assicurargli, Joao manifesta sempre più con prepotenza la sua insofferenza per una esistenza vissuta ad obbedire a regole e vincoli che lui, giramondo scapestrato, non ha mai sopportato. E la tentazione di un bottino irrinunciabile rappresentato dall’incasso giornaliero a cui il padre instancabilmente sta lavorando diventerà troppo forte perché il giovane eviti di trafugarlo, nonostante gli accorati tentativi di persuasione della giovane e mite consorte per farlo desistere. E a notte fonda, quando non c’è più nulla da fare se non coricarsi e sfogarsi con un pianto consolatorio, Gebo deciderà’ così di compiere l’ultimo gesto supremo in favore di quel figlio ingrato.
La suggestione di ambienti familiari poveri ma dignitosi crea un’atmosfera magica in cui le mura e le stanze conferiscono nella loro ricercata spontaneita’ quel senso di protezione contro le insidie della vita, rappresentate visivamente da un cupo temporale che porta gelo e crea comunanza e solidarieta’. In questo contesto magico, un cast eccellente di pochi attori meravigliosi, i tre portoghesi preferiti da de Oliveira (Silveira, Trepa, Cintra) piu’ tre star internazionali mature (Lonsdale, Cardinale. Moreau) - ma pur sempre giovani rispetto al veterano regista di Porto – molto in parte e molto coinvolti, rende l’opera un capolavoro di costruzione scenica e di resa interpretativa, in cui la cinepresa sempre fissa del regista si prodiga questa volta in stacchi che seguono i protagonisti nel loro rutilante inseguirsi e cercarsi.
Un film perfetto sul valore del perdono, sulla remissione dei peccati, sul sacrificio che eleva e santifica per un de Oliveira che resta laicissimo, ma si pone ancora una volta dopo Angelica, interrogativi tutt’altro che terreni su ciò che sarà dopo questa (lunga, fruttuosa e piena di soddisfazioni nel suo caso) esistenza terrena.
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