Nie Yinniang ha consacrato la propria vita alla morte, vergine guerriera in sposa al Potere, angelo vendicatore contro la corruzione delle province. Ha imparato l’arte marziale di schivare colpi di spada, e tumulti dell’anima; sola come una tigre nella giungla, i sentimenti e le emozioni rappresi come sangue in una sutura. Ma il bivio del destino pone Nie di fronte alla più tagliente delle scelte, divisa tra fedeltà alla propria missione, pietas umana degli affetti familiari, ed i ricordi di un antico amore.
E’ cinema di grandi campi lunghi, e pochi primi piani; una composizione pittorica degna del Kubrick di Barry Lindon, che vuole bastare a se stessa, facendo astrazione della storia, dei personaggi , e dei loro nessi reciproci. Un film di cappa e spada in cui i combattimenti sono brevissimi ed accessori; violenza stilizzata e coreografica, totalmente funzionale alla sinfonia visiva che si para di fronte ai nostri occhi. Eppure, l’impressione finale è che anche il film, non solo gli scontri armati, manchi di sangue e carne dolorante. Un arazzo che ci stupisce , ma non si imprime negli occhi; una rarefatta parabola filosofica che ci colpisce, ma non ci lascia feriti in poltrona. Ed anche l’urlo della nostra passione, come quello di Nie, resta sospeso, imprigionato nel plesso solare
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