Regia di Abbas Kiarostami vedi scheda film
Il poco credito che sta riscuotendo l’ultima opera di Abbas Kiarostami, Qualcuno da amare, conferma i sospetti che avevo riguardo all’approccio con cui molto pubblico italiano si è spesso rivolto al cinema del maestro iraniano. Sarà forse un caso che ogni opera realizzata da Kiarostami in patria ha avuto – giustamente - fiumi di riconoscimenti da tutto il mondo, ma appena il regista ha realizzato film fuori dall’Iran, prima in Europa (Copia conforme) e poi in Giappone (Qualcuno da amare), i pareri sono drasticamente mutati? Ecco, il punto è proprio questo: siamo davvero certi che il cinema di Kiarostami sia veramente cambiato – qualitativamente, e non -? Non è invece, forse, un problema del “nostro sguardo”, dell’atteggiamento con cui ci rivolgiamo ai suoi ultimi film, ad avere il peso più forte, ad avere davvero l’ultima parola? Un nostro pregiudizio implicito, difficile da estirpare? E ancora: davvero esiste questa distanza abissale tra due film puramente teorici come Close-up e Copia conforme? Davvero è presente tutto questo divario tra le camera-car, i lunghissimi dialoghi che costituiscono il nucleo di film come Il sapore della ciliegia o …E la vita continua e gli stessi, medesimi, di Qualcuno da amare? Più coerente sarebbe allora rifiutare il cinema di Kiarostami in toto, piuttosto che inalberarsi su questioni conservatrici e nostalgiche del tipo “non è più quello di una volta”.
Ecco, allora, che il problema dello sguardo con cui ci si rivolge al cinema di Kiarostami diventa la vera questione, il nucleo forte su cui doversi interrogare. Io sono convinto che molto pubblico italiano (ed europeo) ha sempre guardato il suo cinema con un atteggiamento che definirei “terzomondista”. Un atteggiamento che esteriormente appare progressista, ma che invece si rivela – e gli ultimi film di Kiarostami lo evidenziano bene – conservatore, quasi colonialista. In realtà, questioni etiche e morali, ricerca teorica, analisi pedagogica, sono da sempre le colonne portanti del cinema del maestro iraniano. Ma il pubblico italiano preferiva vederci, eurocentricamente, il regista “orientale” – eccolo, il colonialismo! Chiudeva un occhio sugli impianti teorici dei suoi film, prossimi piuttosto al cinema di Gordard, per lasciarsi andare ad uno sguardo “da turista”. Quando, di colpo, il suo cinema emigra dalla patria, ecco che appare improvvisamente “svuotato”. In realtà, è solo una mancanza sovrastrutturale [scusate l’uscita marxista!] per l’occhio occidentale, che non riconosce più il carattere folkloristico dei film precedenti [che sembrava determinarne la struttura, cosa ovviamente falsa], e si fa nuda, vertiginosamente essenziale.
Venendo a Qualcuno da amare – sottile film sul senso e sul ruolo del personaggio che si è, o che si interpreta - si è parlato di mancanza “della storia. Eppure, il cinema di Kiarostami non è mai stato il cinema “della grande narrazione”: più giusto sarebbe parlare di possibilità della narrazione.
Si è parlato di “maniera”, di pura “forma” [Gandolfi, su Mymovies], e di mancanza di contenuto. Premettendo che mi sembrano, queste, forme desuete, usate e abusate, pensare che Like Someone in Love sia “pura forma” è a mio parere un errore: piuttosto, se proprio volessimo, il cinema di Kiarostami è solo “contenuto” [e che poi, magari, gli stessi che lanciano queste accuse al film, sono i primi a difendere a spada tratta il trionfo del formalismo contemporaneo, ovvero Hunger].
Crespi, sull’«Unità», si lamenta che in Qualcuno da amare «la storia non appassiona»: sarebbe lecito chiedersi cosa ci si aspetta da un regista come Kiarostami. Intrattenimento? Chissà. Si spera che qualcuno andrà a vedere il film con l’atteggiamento giusto, perché è, quello di Kiarostami, un cinema prezioso, raro, che tutto ha bisogno tranne che di sentirsi rinfacciato di ciò che in realtà è sempre stato.
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