Regia di Stéphane Aubier, Vincent Patar, Benjamin Renner vedi scheda film
Favola poetica, decisamente istruttiva per i piccoli, ma non solo.
L’inizio è un po’ bislacco, ma il crescendo narrativo conduce a uno splendido finale.
I due protagonisti si vogliono bene gratuitamente e spontaneamente, con la semplicità che la vita richiede in termini di affetto. Questo cartone, senza esagerare più di tanto, mostra l’essenza dell’amore. Il gigante e la piccolina non sono allontanati dalla diversità. La solitudine li avvicina, ma non per caso: sono buoni dentro, ma per varie vicende sfortunate non vengono apprezzati, e non riescono ad avere ciò che li rende felici, e che meriterebbero. Perciò danno più valore alle esperienze positive della propria esistenza.
Sono reietti dalla società in quanto irregolari: più semplicemente, sono artisti portatori di valori allotri rispetto a quelli della società che li ha cresciuti. In realtà rappresentano un arricchimento, di vedute e di bellezza: ma la società non li percepisce come tali, in quanto ha bisogno di reprimere il miglioramento che viene da un’espansione dell’esperienza della bellezza. Infatti ha bisogno di omologare. Lo fa evidentemente per interesse della classe dirigente: anche se di ciò non c’è traccia nel film, eppure pare chiaro. In nome di tale omologazione, tale società malata, buona metafora delle società di sempre (che sarebbe ora che migliori definitivamente, nell’interesse di tutti), ha bisogno di nutrire odio e diffidenza vero il diverso, sempre recepito come minaccia, a priori, per pregiudizio.
Visto a dieci anni di distanza, appare come un prodotto capace di prendere il meglio della globalizzazione (che pure ha tantissimi difetti gravi), specie nell’accusa al sovranismo. Allora (2012) come oggi, queste sono tematiche calde.
Qui comunque non si può vedere nulla di male in questa operazione. La bontà dei protagonisti riesce a convertire il cuore dei loro nemici: questo è un messaggio di speranza autentico, e universale.
Assai fine, e opportuna, è la denuncia del capitalismo: i due orsi ricchi rappresentano un’associazione a delinquere. Infatti il marito vende dolciumi col fine deliberato (che però deve restare ben nascosto!) di far rovinare i denti ai bambini, in modo che i genitori di questi possano spendere, a loro volta, soldi per pagare il dentista, dopo averne spesi per comprare dei beni apparenti che portavano a mali reali. Sua moglie fa proprio la dentista. Memorabile la scena in cui il padre umilia e punisce il figlio che vuole comprare i dolci che è proprio il padre stesso a vendere ai coetanei di suo figlio, rendendoli così contenti. L’induzione di bisogni non necessari, che fanno male alla salute, e che quindi costringono a spendere per le cure, è davvero una didascalica descrizione di uno dei tratti delinquenziali del capitalismo.
Bella la metafora dei due mondi, ostili e incomunicanti: non è la forza che fa la differenza, infatti gli orsi non prevalgono ipso facto sui topi. La resistenza di questi ultimi insegna che il segreto non è nella forza, ma nello sfruttare le proprie caratteristiche che si è avuto in dono, indipendentemente dal fatto che in apparenza non si posseggano le caratteristiche più desiderabili, almeno sulla carta.
Disegni di bellezza e finezza memorabili. Accompagnati da una colonna sonora eccellente, nella sua discrezione.
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