Regia di Paul W.S. Anderson vedi scheda film
L'inizio, con Milla in ammollo in cristica posa, fa quasi ben sperare. Quasi. Un attimo dopo ed ecco palesarsi i più tetri presagi: il deludente riavvolgimento didascalico che serve da iniezione alla storia e collante con il finale del quarto capitolo, in cui una Alice in versione presentatrice tivù sintetizza gli eventi che l’hanno vista protagonista e “bignamizzati” sullo schermo in becero digitale formato split screen. Amen. La scena seguente è in sostanza una riproposizione della finta famigliola del primo capitolo.
In effetti, la caratteristica principale di Resident Evil: Retribution è che vive - come uno zombie claudicante- esclusivamente di luce riflessa, tra plagi (evidenti alcuni richiami e scopiazzature (mal)assortite da un’altra nota saga come Underworld) e autoplagi. Le quattro precedenti puntate sono un “bel” bottino dal quale attingere a piene mani e senza ritegno alcuno e (cercare di) coprire al contempo l’incredibile inusitata pochezza con la quale è stato “pensato” (il verbo “pensare” si sta rivoltando nel dizionario) e messo in piedi questo pasticcio nonsense firmato - il primo e quarto episodio solo come regista e tutti in veste anche di sceneggiatore e produttore - dalla pecora nera della “dinastia” (fortunatamente nessun legame di parentela) dei registi Anderson, Paul W.S..
Che qui, coinvolgendo la (vagamente riluttante) mogliettina Milla Jovovich senza la quale la fortunata saga non starebbe neppure in piedi, dà il suo meglio, inteso come il meglio del peggio di cui è, a conti fatti, capace. L’ensemble miserrimo di elementi che riesce a mettere in campo per allestire una storia ridicola che contiene sviluppi, intrecci, apparizioni, sequenze, personaggi, relazioni e quant’altro, è votato fortemente alla più becera ridicolaggine. Il tutto palesemente senza vergogna e volontà alcuna di proporre qualcosa di almeno accettabile o perlomeno guardabile.
Emblematici del riciclo perpetuo e perpetuamente in azione sono i ripescaggi, a vario e avariato titolo (con la scusa della clonazione ogni sconcezza è permessa e finanche incentivata), di diverse figure apparse nei precedenti capitoli, tutti pretestuosi ed insensati nonché insignificanti. Dal primo Resident Evil (senz’altro il migliore) ritorna in doppia versione buona e cattiva (con quest’ultima vi è lo scontro finale con Alice) la mai dimenticata e star in ascesa Michelle Rodriguez, malamente e impudentemente sprecata (non è l’unica) in una (doppia) parte inutile e ridicola. Così come rivenienti direttamente dal gigantesco avamposto sotterraneo della Umbrella Corporation sono sia Colin Salmon (del tutto superfluo il suo ruolo), anch’egli passato dalla parte del nemico, che la onnipotente ipertecnologica e iperdisturbata bambina cattiva Regina Rossa che nell'occasione - con assoluta insensatezza rispetto alle motivazioni che la muovevano allora - controlla e dirige tutte le operazioni, aventi, come fine ultimo e “necessario” l’eliminazione di Alice e di chiunque l‘aiuti.
Ma non bastava sparare nell’atmosfera - finta perché gli ambienti sono ricostruzioni di città tra le quali Tokyo e Mosca utili alla sperimentazione delle armi biologiche (ma soprattutto a giustificare le location come livelli di videogame) - un po’ di tossine virali e far fuori tutti subito? Invece l’intelligentissimo computer iracondo continua a mandare (a morte certa) orde di zotici inservibili zombucoli e mostriciattoli simpatici dall’aspetto digitalmente indefinito (e stereotipato). Altrimenti come si potrebbe motivare quell’infinito tuonare di spari, esplosioni, colpi proibiti frutto di estenuanti (per lo spettatore) scontri sparatutto (specie minchiate)? Non si potrebbe, ovvio.
Tra gli altri (adulterati) recuperi c’è anche quello di Jill Valentine (interpretata da Sienna Guillory) che in Resident Evil: Apocalypse affiancava Alice e qui, controllata dalla capricciosa Regina Rossa (per mezzo di un enorme “gioiello” a forma di scarrafone con tanto di logo della Umbrella e infilato in mezzo alle poppe - e staccalo prima no?) ne è la controfigura in campo. Ai suoi ordini agisce il Carlos Olivera (Oded Fehr) di Resident Evil: Extinction. Altro clone, altra apparizione insignificante. Dal precedente quarto capitolo invece torna (ma come ha fatto?) l’indistruttibile Luther West (Boris Kodjoe, perennemente in posa da modello).
L'unico inserimento degno di nota riguarda un nuovo personaggio, l’ex agente Ada Wong che libera Alice dalla prigionia, interpretata dalla bellissima Li Bingbing (già apprezzata in sala di recente in Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma e ne Il ventaglio segreto). Certo non si capisce perché - dato che è sempre sgambettante in azione a lottare e sparare a destra e a manca - debba indossare un vestito con tanto di spacco e tacchi vertiginosi, ma va bene così. Anzi benissimo, almeno gli occhi possono (felicemente) distogliere lo sguardo dalle sciocchezze che passano che sullo schermo.
Alla fine, in questo scempio di film, che implode (e fa incacchiare) tra battute stantie, dialoghi irrilevanti, scene irritanti, sprechi consistenti (in pratica tutte le attrici presenti, ma anche Kevin Durand che, “sacrificabile” come sempre, stramazza col sigaro in bocca), sequenze viste e straviste, l'immancabile 3D (non osceno ma non necessario), abusi di ralenti (dovrebbe esserci una legge che ne definisca reato e pene), musiche techno rimbombanti rimbambenti ad altissimo volume, impennate sonore quando si vuole fare “paura” (chiaro sintomo di incapacità) e trame ignobili, il solo motivo cosa per cui uno (tipo il sottoscritto) si sorbisce ’sta roba qua senza fare causa alla produzione per manifesta volontà d’istupidire il pubblico, è, ça va sans dire, la magnifica Milla Jovovich. Che qui, molestata da un film-buffonata, dà l’impressione di essere un po’ svogliata e demotivata (avrà letto la mortificante sceneggiatura anzitempo …), come se stesse in scena solo per accontentare il marito (chi è che non c’ha rogne in famiglia?) e l’orda adorante di fan. Non la sua migliore Alice, senza subbio, seppure è solo ed esclusivamente sua.
Comunque, a lei si perdona questo ed altro (anche il sesto, conclusivo - si spera - capitolo).
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