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The Story of Film

Regia di Mark Cousins vedi scheda film

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La recensione su The Story of Film

di FilmTv Rivista
8 stelle

Nell’anno in cui agli Oscar trionfa The Artist, un film che riannoda al contrario la Storia del Cinema, ecco un meraviglioso Monopoli sul cinema, pieno di probabilità e imprevisti, ma dove Parco della Vittoria non è sempre un capolavoro, magari vince Vicolo Corto. Distribuito dalla Bim al dosaggio omeopatico di due puntate per volta, cura antidepressiva sicura, l’Odissea nello spazio cinematografico di Cousins è un viaggio fantastico di 900 minuti privo di ogni luogo comune o banalità. Inizia dal Soldato Ryan e finisce con un girotondo felliniano intorno alla statua della Pellicola nel Burkina Faso, per raccontare come la regia sia una bugia per dire la verità concludendo che non sono i soldi a guidare la Storia dei Film, ma le idee che di continuo si rinnovano. Poi certo si parla di Edison, i Lumière, Charlot etc., ma the story, cioè il racconto (non solo the history), è un meraviglioso incrocio in cui il cinema incontra la vita e quindi la Storia, la geografia, la letteratura, l’arte. Certo ciascuno ha la sua story pronta in mente quindi potrà dire c’è poco Fellini, poco Visconti, pochissima commedia, scarso Allen, niente Losey, missing i giovani, però Bertolucci, Pasolini e Leone hanno un posto speciale. E ci sono belle e corpose interviste con Bertolucci, Lars von Trier, Stanley Donen, Gus Van Sant, Sokurov, Campion, tutti su una chorus line di ricchi, barocchi inconsci in attesa di rivelarsi con le immagini. Cousins, con due angeli custodi, cattolico e protestante, riserva grande attenzione non solo per Ozu e i paesaggi del taciturno John Ford ma verso tutto il cinema invisibile, censurato dal mercato (o dalla politica come in Iran), dall’Africa all’Egitto, dalla Cina al Giappone all’Ungheria, passando per Honk Kong quando era in the mood of kung fu, per le tristezze di Taiwan, per le quotidianità malinconiche della famiglia Makhmalbaf. Ma l’intelligenza del documento, da tenere in dvd per attacchi bergsonian/proustiani di memoria, sta nel tipo di recherche: non solo Via col vento, Casablanca, Star Wars, ma anche un pensiero spaventato al domani, ponendo il dilemma, che l’avvento del digitale (post Avatar) ci ha allontanato dalla realtà, partendo per un regno fantasy virtuale, e chissà quando ci ritroveremo a parlare di noi, come fanno Dumont, Dardenne, i Coen, Haneke e Woody. Perché il cinema, sia chiaro, può cambiare le vite: la realtà lo feconda ma poi si prende gli interessi perché la natura non è mai indifferente o neutrale di fronte allo sguardo del regista. E per parafrasare ancora Sartre (Le parole), si può dire che ogni film li vale tutti e tutti lo valgono.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 42 del 2012

Autore: Maurizio Porro

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