Regia di Alvaro Longoria vedi scheda film
Non tutti lo sanno. I confini del Marocco sono una questione controversa. Dolorosamente irrisolta, da quasi quarant’anni a questa parte. Il colonialismo ha lasciato, dietro di sé, un ultimo scampolo di oppressione, di rivolta, di diritti umani calpestati. Ma non chiedete informazioni alle autorità di Rabat, o a quelle di Algeri, né a nessuno dei politici dei paesi limitrofi. Evitate di intervistare anche Kofi Annan, o di rivolgervi agli attuali vertici dell’ONU. Anche in Europa vi sono personalità influenti, che a suo tempo hanno avuto voce in capitolo, ma nemmeno loro accetteranno di rispondere alle vostre domande. Javier Bardem e Alvaro Longoria – interprete principale e regista di questo documentario – ci hanno provato senza successo: li hanno interpellati ad uno ad uno, ma tutti avevano faccende più urgenti da sbrigare. Sono comunque altre, e ben più significative, le testimonianze che hanno potuto raccogliere, durante una lunga missione compiuta, in Africa e non solo, per difendere una causa che a loro sta particolarmente a cuore. I saharui sono un popolo di antica tradizione e civilissimi principi, violentemente strappato alla propria terra. Il loro mondocoincideva, originariamente, con l’intero deserto, che i figli delle nuvole attraversavano in lungo e in largo alla ricerca di luoghi in cui far pascolare le capre ed i cammelli. Poi vennero le potenze occidentali, a tracciare nella sabbia frontiere istituite a tavolino. Il Sahara Occidentale divenne una nazione, un possedimento della corona di Spagna. Ma quando, nel 1975, gli spagnoli se ne andarono, anziché l’indipendenza e l’autodeterminazione arrivarono, in massa, gli invasori marocchini. Da allora non vi fu più pace; e, ancora oggi, le famiglie di migliaia di profughi vivono in immensi accampamenti situati lungo il confine algerino, in mezzo al nulla, nella totale mancanza di risorse, di servizi, di prospettive. Questo film ci racconta tutti i dettagli della storia, e ci spiega i motivi per cui ancora non se ne intravede la fine. Il Marocco si è ormai impossessato di buona parte del territorio, di un’ampia fascia costiera che si trova ad ovest di un lunghissimo muro di divisione, circondato da mine, posto a difesa di quella che, in effetti, è soltanto una zona d’occupazione. Dove l’economia fiorisce, perché le spiagge sono attraenti per i turisti, ed il sottosuolo è ricco di materie prime. Dall’altro lato della barriera, invece, regnano la miseria ed una fame di libertà a cui nessuno bada. La stessa che altrove viene duramente repressa dalla polizia politica, con sequestri e torture. Ora, con questo film, la denuncia di quell’insostenibile stato di cose è partita; ed è supportata non soltanto dal racconto delle vittime di questa grave e prolungata ingiustizia, ma anche dai pareri di autorevoli esperti di politica internazionale, di ex ministri, di ex capi di stato, che, contrariamente a molti loro omologhi, a questo proposito non hanno voluto tacere. E Javier Bardem si è, un po’ temerariamente, unito a loro, recandosi di persona nel Palazzo di Vetro, per presentare una pubblica interrogazione. Adesso sono molti quelli che sanno. Nel mucchio ci siamo anche noi. Non lasciamoci distogliere dai selettivi clamori della cronaca. La primavera araba è cominciata alcuni decenni fa, in un angolo di mondo dimenticato dagli uomini: ed è portata avanti, nonostante tutto, con una determinazione a combattere che appare fortissima, eppure rimane deplorevolmente coperta dal silenzio.
Questo film si è aggiudicato, nel 2013, il Premio Goya per il miglior documentario.
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