Regia di Christopher Kenneally vedi scheda film
Una rivoluzione a colori. Per nulla silenziosa, e di portata mondiale. Eppure totalmente pacifica. A questo proposito, Keanu Reeves intervista diversi famosi registi, come George Lucas, Christopher Nolan, David Lynch, Martin Scorsese, James Cameron, Danny Boyle. E tanti altri personaggi perlopiù ignoti, che lavorano nell’invisibilità, eppure danno un contributo non meno creativo ed importante alla realizzazione di un film: sono i direttori della fotografia e i tecnici del colore. Tutti sono riuniti intorno ad un evento che forse è un funerale, forse è l’alba di una nuova era. Si dice in giro che la pellicola sia ormai in punto di morte. L’avvento delle tecnologie digitali ha segnato la sua fine. Non si sa se sia del tutto vero. E, soprattutto, non è chiaro se sia da considerarsi un bene oppure un male. Il documentario di Christopher Kenneally traccia la storia che, nell’arco degli ultimi trent’anni, ha portato gradualmente alla quasi totale scomparsa della stampa fotochimica, e all’inarrestabile avanzata dei supporti elettronici. La cinepresa è stata sostituita da attrezzature informatiche, e intanto gli effetti speciali hanno abbandonato i tradizionali teatri di posa per entrare nella dimensione simbolica dei codici e dei pixel. Si può discutere razionalmente dei pro e dei contro di questa evoluzione, ipotizzando i suoi sviluppi futuri. Ma ancor più importante, per chi il cinema lo fa e lo vive, è poter descrivere l’impatto che questa novità ha avuto sulla sua esperienza artistica. Le procedure tecniche non possono infatti cambiare senza partecipare, loro stesse, al destino delle storie che sono chiamate a raccontare. Sono anch’esse tra i redattori del documento storico. E questo è una memoria, vale a dire una fonte valida ed autentica, solo se si inserisce concretamente nel flusso del tempo, come fosse l’episodio di un romanzo di formazione: l’istantanea che cattura una piccola conquista, mostrando le tracce della sofferenza e della gioia che questa ha procurato. Una lunga intervista a più voci fa da cornice ad un percorso tracciato dalle immagini di grandi successi popolari come Guerre Stellari ed Avatar, di kolossal come Titanic, ma anche di tante produzioni indipendenti, a cominciare da Festen, per proseguire con le successive opere del progetto Dogma 95, e con alcune recenti sperimentazioni di carattere individuale. Al discorso partecipano le icone di Hollywood accanto al giovane cineasta autodidatta: è ampio lo spettro dei soggetti coinvolti e delle idee in circolazione. Ciò è inevitabile, e quanto mai opportuno, perché il panorama è estremamente variegato e non ancora del tutto definito, in questa epoca di passaggio, che vede la trasformazione della settima arte da spettacolo messo in scena da pochi a beneficio di molti, a mezzo espressivo alla portata di tutti, e sempre più pratico, economico e malleabile. Il dio Cinema, una volta sceso dall’Olimpo e spogliato di ogni mistero, può essere onorato solo facendolo a pezzi, rendendolo oggetto di analisi e di dibattito, e rivelandone i segreti che un tempo erano oggetto di reverenziale meraviglia. La sua magia, adesso, risiede nell’esplosione delle sue potenzialità, che, nel mondo della realtà virtuale, sembrano potersi espandere illimitatamente, poiché svincolate dalla rigidità delle leggi della fisica e dai principi della logica. L’avventura continua, in maniera imprevedibile, mentre si affollano, appassionate e contraddittorie, le varie congetture sul suo destino. Noi, amanti del grande schermo, siamo inconsapevoli spettatori di un divenire, che tende a sottrarsi al controllo di chi lo ha generato. Un video conservato in un file potrà essere manipolato da chiunque, in mille modi, all’insaputa del suo autore. Potrà smarrire la sua identità, e magari cambiarla infinite volte, secondo il ritmo di un progresso globalizzato e frenetico che dà il capogiro. Oppure, lungo la stessa strada, potrà perdersi per sempre, sepolto in un archivio di dischi obsoleti e illeggibili. La notevole quantità di informazioni, testimonianze ed opinioni raccolte in questo film non riesce a sciogliere l’interrogativo. La domanda rimane aperta, com’è giusto che sia. Ed è forse questo il traguardo a cui deve tendere ogni studio che si rispetti.
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