Regia di Massimo Pupillo vedi scheda film
“In un castello remoto, un gruppo di modelle e un fotografo (Ralph Zucker) sono sul posto per un servizio di cineromanzi. Ciò che la troupe non sa è che il maniero non è abbandonato, come i malcapitati sono stati portati a credere; il folle culturista Travis Anderson (Mickey Hargitay) è diventato il proprietario della roccaforte e sembra convinto di essere la reincarnazione di un giustiziere (il boia scarlatto appunto) che nel 1648 venne soppresso per il reato di avere la sua camera di tortura privata. Quando gli ospiti decidono di visitare i sotterranei nascosti, Travis scatenerà una furia omicida irrefrenabile…”. Questa è la sinossi di “Bloody Pit of Horror”, un prodotto molto casereccio di Domenico Massimo Pupillo che dovrebbe rimembrare l’amoralità della condotta di de Sade e i black comics italiani, in un tripudio di misoginia e sadismo ove le povere fanciulle verranno vessate dai crudeli macchinari utilizzati da un Hargitay in spandex. Uno dei pregi del lungometraggio è che nonostante le immagini sanguinose siano forti per i tempi, non si arriva comunque al parossismo estremo. Pure i set gotici non sono da buttare. Purtoppo questa fatica di Pupillo ha degli sconfortanti dialoghi paludati (Hargitay continua ad insistere sul fatto che possiede un “corpo perfetto” e non si deve far corrompere dagli umani inferiori…) e procede in modo così lento, anche nei pezzi macabri, che provocherà una sonnolenza precoce (ci sono altresì delle musiche “narcotiche” in sottofondo). Insomma, se proprio volete conoscere tutta la filmografia horror del Bel Paese, potete prendere in considerazione la visione, ma più per “completezza di informazione” che allo scopo di intrattenimento. Ancora di culto rimane comunque il frammento col ragnone finto.
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