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Bliss

Regia di Doris Dörrie vedi scheda film

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La recensione su Bliss

di OGM
8 stelle

Trasferta tedesca per Alba Rohrwacher. Doris Dörrie la chiama a Berlino per interpretare la parte di Irina alias Natascha, una ragazza approdata in Germania dopo che la sua terra è stata devastata dalla guerra civile ed i suoi genitori uccisi. Per vivere, si prostituisce lungo la strada, ricevendo i clienti  in un albergo di terz’ordine. È una donna sola e guardata con disprezzo. Finché, una sera, non incontra Kalle, un giovane senza fissa dimora che dorme sul marciapiede, avendo come unico compagno il fedele cane Byron. Può sembrare l’inizio di una favola sentimentale, e in effetti lo è. Una semplice romanza sulla felicità, che da un momento all’altro si spezza, ma poi, come per miracolo, e con un po’ di fatica, si può ricostruire, per sé e per gli altri. Dalla morte e dalla miseria ci si risolleva unendo le forze e restando insieme. Ciò non basta ad eliminare la violenza, la sfortuna e il disagio, ma è indispensabile per poter andare avanti, seguendo la scia di un senso da realizzare e di un progetto comune da mettere in pratica. La storia di Irina e Kalle si muove con cauta perseveranza lungo il filo sottile che separa il possibile dall’azzardo, sfidando le regole di un mondo in cui per gli ultimi non ci sono prospettive. Il passo di Irina è incerto, sui tacchetti a spillo che fanno parte della divisa del mestiere; la sua fragilità si raccoglie fremente intorno ad una determinazione che può trasformare anche uno sbandato come Kalle in un eroe da romanzo. Sul suo pensiero incombono terribili ricordi, ma bisogna guardare al presente, per poter sopravvivere, e magari al futuro, nel momento in cui si è in due e forse ci si può concedere il lusso di sognare. La bellezza è soltanto un cimelio privo di vita (la tovaglia con le pecorelle ricamate da sua madre) oppure uno squallido costume di scena (una parrucca bionda, un paio di paraorecchie di pelliccia bianca) fino a che, con l’arrivo di obiettivi diversi da quello banale di restare a galla, il loro ruolo si arricchisce della poesia di  tutto ciò che è superfluo e desiderabile (una lampada a fiori viola, un finto capriolo da esibire su un prato verde di moquette).  Un nido d’amore con gli arredi colorati apre una piccola finestra sul domani e, contemporaneamente, diventa il teatro di quell’Unfug aus Liebe – un’espressione giuridica inventata dal’avvocato Noah Leyden, il personaggio narrante, per indicare le stupidaggini che si commettono quando si è davvero tanto innamorati. Si può fare involontariamente del male, o causare un guaio senza rendersene conto. Kalle è accecato da quella passione inattesa, Irina è chiusa in se stessa e non fa nulla per farsi capire, ed il malinteso è sempre in agguato. Lei chiede, e lui obbedisce, fino a sentirsi moralmente obbligato a fare qualunque cosa pur di venirle incontro.   La disperazione volge nel suo opposto, in un’esaltazione che supera agilmente le barriere dell’io. Glück è un’avventura giovane, immersa nella brutalità del mondo contemporaneo, alla quale risponde con una potente carica di dolcezza. Nella sua fantasia non c’è, tuttavia, alcuna traccia di ingenuità; la voglia di volare con la mente è infatti solo il frutto di un giudizio maturo, e a posteriori, sull’insanabile cinismo di una  realtà palesemente imperfetta, e che, però, molto raramente è disposta a perdonare. 

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