Regia di Marcus Dunstan vedi scheda film
Seguito particolarmente efferato, che proietta lo spettatore in un incubo senza fine. Visionario, tutt'altro che verosimile, decisamente sanguinario e ritmato. Sembra quasi di assistere ad un (riuscito) incrocio tra Saw ed Hellraiser. Per veri intenditori dello splatter. Astenersi tutti gli altri, soprattutto i più impressionabili.
Elena (Emma Fitzpatrick) viene invitata da due amici a partecipare a un (deadly!) party in un luogo riservato. In realtà si tratta di una mortale trappola architettata da un serial killer mascherato che ha mobilitato, causa le sue sanguinose gesta, intere forze dell'ordine. Mentre all'interno del locale l'omicida compie un massacro di massa, Arkin (Josh Stewart) riesce a fuggire lasciando tra le mani del "collezionista" proprio Elena. Il padre della ragazza, nella speranza di liberarla, assolda una squadra di fuorilegge che, guidati da Arkin, raggiunge un vecchio motel abbandonato, sede nella quale -fra una trappola e l'altra- il killer ha istituito ambienti adatti alle sue personalissime collezioni.
Seguito di The collector (2009), un'opera d'esordio del curatore della colonna sonora (nonché sceneggiatore) di Feast 3 e poi anche autore degli script di alcuni Saw (dal quarto a seguire). Ecco perché la similitudine con la serie di Jigsaw appare qui così insistita, non essendo cioè solo data dai meccanismi trappola messi in scena -con superiore capacità tecnica- ma dalla presenza dello stesso sceneggiatore, Marcus Dunstan. In questo caso anche regista di buona qualità, in grado di concepire sequenze visionarie di certo impatto visivo. Come quando si inoltra, con soggettive virtuose e animate, nei sotterranei del killer soffermandosi sui pezzi di una collezione in grado di fare accapponare la pelle: tra artefatti di ossa umane, risaltano teche di vetro contenenti, sotto formaldeide, mosaici di corpi umani fatti con pezzi di varii cadaveri. Composizioni grottesche e surreali che sembrano essere uscite dalla fantasia contorta e malata di un Salvador Dalì fuori di testa. Se l'impostazione globale sprofonda -ovviamente- in un contesto irrealistico (il killer, con la sua maschera in pelle ricorda non a caso i Cenobiti di Hellraiser) Dunstan non difetta -quando mette in scena la morte in azione- di portare sullo schermo realistici effetti ultrasplatter e gore. Addirittura apre il film con un impressionante (e semplicemente perfetto nel suo infernale modo di evolversi) massacro di massa dovuto allo scattare di un complicato meccanismo che sigilla una discoteca, divenuta un enorme contenitore per "carne in scatola".
Questa allucinata sequenza, con improvviso calare dall'alto di un enorme tritacarne metallico, ricorda inevitabilmente un analogo momento presente nel film Ghost ship (2002) di Steve Beck: la simultanea "triturazione" d'esseri umani, opera di cavi d'acciaio fatti calare ad altezza d'uomo, che investendo i passeggeri della Antonia Graza ne dimezzano i corpi. The collection non va quindi visto come un film tradizionale, anzi. Chi cerca qui una logica o una verosimiglianza sull'agire dei protagonisti resterà profondamente deluso e, probabilmente, anche parecchio irritato (si pensi ai prigionieri mutilati e drogati, usati come arma d'attacco in stile suicida). Ma se ci lascia rapire dall'atmosfera macabra e volutamente surreale (come già detto sembra di trovarsi di fronte ad un seguito di Hellraiser più che davanti a Saw) non si può fare a meno di apprezzare il talento di Dunstan, regista che si pone -per qualità tecnica e cattivo gusto- decisamente sopra la media dei suoi più morigerati colleghi. Visione meritata, foss'anche solo per l'ipnotico e incredibile piano sequenza che riprende, in dettaglio, lo scattare del meccanismo al party insanguinato.
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