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Il padrino - parte III

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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GARIBALDI1975

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La recensione su Il padrino - parte III

di GARIBALDI1975
7 stelle

 

Credo che quella del "Il Padrino" sia la migliore trilogia della storia del cinema (qualitativamente più elevata rispetto alle più note Star Wars o Il Signore degli Anelli).

Girare questo terzo episodio non sarebbe stato facile per nessun regista, il paragone con i due capolavori precedenti era inevitabile e impegnativo. Ad ogni modo, questa terza parte del "Il Padrino" per direzione, fotografia, sceneggiatura e interpretazione mantiene degli standard più che buoni rispetto ai colossal precedenti della saga. Certo è nettamente inferiore ai primi due, ma era pur comprensibilmente difficile presentare un padrino in declino da vecchiaia al confronto con i personaggi grandissimi e memorabili dei due precedenti titoli.

 

Ciò che amo di più di questo film è il finale, in particolare gli ultimi 20 minuti. E' lì che si tocca con mano l'apice del melodramma, è presso il teatro Massimo di Palermo, durante e subito dopo la rappresentazione della Cavalleria Rusticana di Mascagni, che Coppola chiude il cerchio di questa sontuosa saga, per poi immediatamente giungere, con crudo realismo, alla rappresentazione della solitudine di un vecchio padrino e in quell'immagine racchiudere tutto il senso di nostalgia, solitudine e abbandono d'un vecchio Michael Corleone abbandonato a finire da solo la sua esistenza, quasi fosse un prezzo da pagare per le conseguenze causate da un'esistenza ai vertici della mafia americana.

 

Come nei precedenti episodi, il film inizia con una cerimonia all'italiana, Michael Corleone riceve dal Papa la croce di San Sebastiano, la più preziosa nomina cattolica che può ricevere un laico. I Corleone definitivamente fuoriusciti dei loschi traffici illeciti, vendute le proprietà legate al gioco d'azzardo, si sentono totalmente riabilitati e riscattati per partecipare ai grandi progetti dell'alta finanza e nel mercato immobiliare internazionale. Per entrare in questo giro si rivolgono a scaltri finanzieri e ad eminenti prelati della Chiesa che, al prezzo di generose elargizioni di carità, tentano di rinnovare e imbiancare il cognome dei Corleone, il quale anziché rievocare il passato mafioso, dovrà essere rammentato per quello di un generoso filantropo.

 

Mentre tutto sembra andare nel verso giusto, Michael Corleone dovrà tornare a fare i conti con i suoi vecchi amici che rivendicano un posto per loro nei nuovi investimenti dei Corleone. Tutto esploderà nel prevedibile inferno di violenza della escalation mafiosa, mai così bene rappresentata al cinema se non tramite il genio di Francis Ford Coppola.

 

 

Il film è fondamentalmente ciò che gli sceneggiatori Coppola e Puzo avrebbero voluto che fosse: una raffigurazione del vecchio padrino dei Corleone (che sembra reinterpretare il primo padrino di Marlon Brando) alla ricerca di una pace interiore, di un perdono divino, di un riscatto morale, di un abbandono dei brutti ricordi legati al mondo mafioso del quale lui è stato il vertice. Un nuovo inizio nella vecchiaia. Eppure questo riscatto, questa legittimazione sociale è appesa a un filo sottile, ad un riconoscimento etico che non verrà mai accordato, seppure tramite l'amicizia influente di un'istituzione religiosa (la Chiesa) che pur operando nel business in condizioni di liceità, si comporta in modo altrettanto criminale. Tutti i soldi che Michael Corleone versa in beneficenza non ripuliscono la sua coscienza dalle sofferenze e dalle violenze del passato, i suoi peccati e i suoi omicidi non riescono ad essere cancellati dal denaro che sembra non poter assicurare un perdono. Quasi che tutto il film voglia sottolineare che tutte le azioni commesse in passato dai Corleone sembrano prima o poi ritorcersi contro, senza possibilità di svincolo.

 

 

Il meglio del film è senz'altro da ascrivere alla grande prova del cast di attori tra cui spiccano Al Pacino, una intramontabile Diane Keaton, Joe Mantegna (nella parte del nemico Joey Zasa) e un Andy Garcia, nella più grande interpretazione della sua carriera. Poi c'è una sceneggiatura all'altezza della saga, che diventa maestosa nel finale melodrammatico al teatro Massimo di Palermo; certo alcune fasi interlocutorie sembrano un po' pedanti, c'è meno azione rispetto ai titoli precedenti, ma evidentemente era inevitabile aspettarsi di più da un boss invecchiato e arrivato al momento del passaggio di consegne al suo unico erede, il figlio del fratello Sonny, Vincent Mancini (il focoso Andy Garcia). Pesanti e sterili i riferimenti alla politica italovaticana degli anni '80, anche perché lasciati lì superficialmente senza un approfondimento.

 

 

La parte più debole e che mi ha lasciato più dubbi che certezze è legata alla scelta del regista di assegnare il ruolo di Mary Corleone alla figlia Sofia. Non sono riuscito mai a cogliere il confine tra quanto Sofia Coppola reciti se stessa, la sua storia personale quanto invece sia merito di un'autentica interpretazione attoriale. Certo è che le faccine rigide e le espressioni spesso inebetite della giovane Sofia non inducono a propendere per la seconda ipotesi.

 

Alla fine della trilogia del "Il Padrino" si può certamente confermare che i mafiosi di Francis Ford Coppola sono certamente diversi da "Quei Bravi Ragazzi" di Martin Scorsese: mentre i 'Godfellers' di Scorsese rimangono dei fetenti, scanzonati, spesso puerili criminali da strapazzo, infarciti dall'esaltazione del sogno americano; i mafiosi di Coppola nella maggior parte dei casi sono diventati dei borghesi americani fedeli alle tradizioni italiane, spesso nostalgici di queste ultime, per poi presentare famiglie come i Corleone che dalle origini italiche ne traggono ispirazione per dare di sé un'immagine elegante e maestosa, tanto quanto potente e implacabile.

 

È un film che regala ancora quella sana magia che sa tanto di vecchio buon cinema!

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