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My Way

Regia di Je-kyu Kang vedi scheda film

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La recensione su My Way

di ilcausticocinefilo
6 stelle

A 7 anni da quel Brothers of War – Sotto due banidere (in originale Taegukgi) che è diventato uno dei maggiori incassi di sempre del cinema coreano, Kang ritorna con un altro film bellico dalle premesse abbastanza simili (là era la Guerra di Corea, qui la Seconda guerra mondiale, ma il tema cardine dell’amicizia [in quel caso letterale fratellanza] virile tra due uomini trascinati nel vortice della guerra rimane pressoché invariato).

 

Naturalmente, solo nel­le premesse. Poi gli sviluppi divergono, pur tuttavia presentando il medesimo patriottismo di base (là fat­to scaturire dalla ferita aperta della divisione del pae­se al 38° parallelo; qui dalla rivalsa, anche sportiva, nei confronti dell’invasore nipponico [e la scena nel­la quale è Jun-shik a trionfare sotto gli occhi sgo­menti degli ufficiali e spettatori giapponesi ricorda da vicino lo sguardo che si deve essere dipinto sul volto di Hitler quando alle Olimpiadi del ‘36 si è tro­vato “costretto” ad assistere allo spettacolo di un americano affatto ariano, Jesse Owens, trionfante nell’atletica leggera]) e di conseguenza la medesima retorica, che potrà forse infastidire qualcuno ma che per la verità non nuoce troppo gravemente al film.

 

 

locandina

My Way (2011): locandina

 

 

Che semmai ha altri difetti, primo tra tutti una certa tendenza a scivolare un po’ troppo nel melodramma esasperato e urlatissimo (di questo sono emblemati­che diversissime scene, ma ne basti una: quella dell’attacco sovietico alla base giapponese durante la quale Tatsuo dà di matto, mentre Jun-shik torna addi­rittura indietro in un altruistico gesto eroico e si pre­occupa pure di salvare la vita al suddetto Tatsuo).

 

V’è poi una certa disinvoltura storica, almeno nel senso che la trama in sé pare poco plausibile (qual­che esempio storico di vicende similari può essere rintracciato [uno in particolare, al quale forse il film è molto liberamente ispirato: il caso di Yang Kyoungjong, militare coreano catturato e fotografato dagli Alleati a seguito del D-Day, che avrebbe effettivamente combattuto su ben tre fronti], ma in effetti, come nel caso appena citato, tutto rimane poco chiarito e poco documentato, dunque difficile da verifi­care).

 

Inoltre, si può dire che certe scene non catturino proprio accuratamente quanto avvenuto (vedi il caso della battaglia di Khalkhin Gol, o quello dello sbarco in Normandia risolto in quattro e quattr’otto [magari nel timore diincorrere in una mera scopiazzatura dei primi quaranta minuti de Salvate il solda­to Ryan], e a seguito del quale, incredibilmente, nella ripresa aerea finale non paiono essere rimasti cor­pi riversi sulla spiaggia).

 

 

 

 

L’attacco ai sensi e al nervo ottico in particolare (complice un montaggio sotto epinefrina) è totale e alla lunga stancante, ma spesse volte la ricostruzione storica di immani teatri di guerra e furiose battaglie, nonostante gli errori e le incongruenze, lascia di stucco (soprattutto conside­rando il budget di “appena” 24 milioni di dollari).

 

Altrettanto di stucco, ad essere sinceri, lascia anche la sensazionale capacità dei due pro­tagonisti di schivare audacemente pallottole, sopravvivere ai più san­guinosi massacri e alle più rigide prove di resistenza fisica (ad esem­pio, dimostrandosi in grado di scala­re gelide vette stanchi, feriti e san­guinanti dopo aver affrontato una terribile battaglia), ma comun­que sia My Way possiede ugualmente un innegabile impatto emotivo e spettaco­lare, pur tra cedute me­lense e retori­che.

 

 

 

 

Non è un gran film, ma nemmeno un film guerrafondaio, e cerca forse di inviare per­fino un “mes­saggio” di qualche rilevanza per tramite del percorso di maturazione in cui incorre Tatsuo, che da acce­so e fanatico nazionalista diventa una sorta di triste disilluso, mentre comincia lentamente a capire come funzioni realmente il mondo, pur non di­venendo mai un personaggio veramente positivo per il quale si riesca a provare particolare simpatia.

 

Alla riuscita del tutto contribuiscono le talvolta frastornanti ma efficaci ed emozionanti musi­che di Lee Dong-jun, e le buone interpretazioni degli attori, che talvolta riescono quasi da soli a risolle­vare il film quando pare sul punto di ricadere su se stesso. E persino il montaggio ipercinetico e asfis­siante nono­stante tutto in alcuni segmenti dimostra di avere un suo perché.

 

Detto questo, vorrei solo aggiungere che a mio opinabile, parziale, soggettivissimo parere il 9 di media di cui fa bella mostra qui su Filmtv il film risulta essere francamente esagerato.

 

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