Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
Dal buio si disvela il freddo volto di un Michael Corleone (Al Pacino), nell’atto di ricevere un saluto di deferenza, già dalla prima immagine del Padrino - Parte II (1974), Francis Ford Coppola pur proponendo nei fatti una sequenza che può ricordare l’inizio del Padrino - Parte I (1972), in realtà finisce con il prenderne nettamente le distanze, sia dal punto di vista stilistico (dilatato e posato nell’uso delle inquadrature in apertura della precedente opera), che nei modi (Don Vito era molto caloroso ed affabile verso i suoi interlocutori), mentre in questo seguito la scena iniziale risulta stringata ed essenziale, legandosi perfettamente con l’atteggiamento del nuovo capofamiglia, distaccato quanto imperscrutabile nei rapporti con il prossimo, concepiti dall’uomo nella sola dimensione affaristica; l’unica possibile per il nuovo “Padrino”, che tenta di istituzionalizzare la propria famiglia nel tessuto economico americano, arrivando ad impiantare la nuova residenza nello stato del Nevada, lasciandosi così alle spalle il passato.
Michael ha quindi abbandonato del tutto la dimensione “provinciale” di New York, a favore delle nuove frontiere del guadagno : Las Vegas, San Francisco e Miami, per non tacere dell’isola di Cuba dove possono riciclare i proventi illeciti, grazie all’appoggio dittatore Battista, tra l’altro sostenuto dalla stessa amministrazione americana; Coppola quindi alza lo sguardo, passando una dimensione nazionale-internazionale, sintomo di una elevazione anche sociale di Michael Corleone, però l’andare più in alto non gli consente di legalizzare la propria posizione in alcun modo, poiché i conflitti da un piano primitivo-terreno, sono solamente diventati più articolati e complessi. Il secondo capitolo del Padrino, però non si muove solo in una indagine verticale, ma anche in orizzontale, volgendo al contempo lo sguardo all’indietro, costruendo nell’arco di tre ore, un’opera dalla struttura narrativa non lineare, tramite l’uso del montaggio parallelo, con continui collegamenti e rimandi tra le vicende ambientate nel presente e gli avvenimenti del passato, che vedono l’ascesa criminale del padre del protagonista, il giovane Vito Corleone (Robert De Niro).
Coppola con il Padrino - Parte II (1974), non scade nella ripetizione, né banalmente gioca al rialzo con gli elementi di successo del capostipite per compiacere il pubblico, come vuole la legge dei sequel ad Hollywood, ma tanta l’unica strada possibile per non scadere nella mera ripetizione, esplorando le origini, la crescita e la trasformazione del fenomeno mafioso, oramai sviluppatasi in una vera e propria cancrena sociale nel corso dei decenni, pur essendo sorto come mero strumento di protezione ed “auto-governo” della comunità italiana di New York, che vive ad inizio 900’ in un regime di Apharteid socio-culturale, rispetto al resto degli Stati Uniti. Gli immigrati italo-americani si frequentano per lo più tra loro con pochi contatti esterni alla propria cerchia, chiusura accentuata dall’adoperare nella comunicazione quasi solo la lingua italiana con un forte accento regionale in base alla provenienza di ciascuno, infatti, nella questione della linguistica, Coppola scava più a fondo rispetto al precedente film, grazie anche alla maggior libertà produttiva, ingaggiando molti attori italo-americani, nonché scegliendo l’emergente Robert De Niro (vincitore dell’oscar come non protagonista) come interprete di Don Vito da giovane; la somiglianza fisica tra De Niro e Marlon Brando non è per nulla marcata, ma all’attore basta l’ausilio di delle giuste movenze e di pochi quanto semplici gesti, per farne rivivere alla perfezione il personaggio con le sue caratteristiche, compiendo inoltre un grande lavoro di pronuncia dell’italiano con un forte accento siciliano, cosa che a dirla tutta, riesce molto meno ai suoi colleghi Bruno Kirby e John Aprea (rispettivamente Clemenza e Tessio giovani).
La destrutturazione temporale, consente a Coppola di giocare su varie assonanze tematiche e dissonanze concettuali, per legare tra loro in maniera armoniosa le varie transizioni cronologiche, imbastendo una riflessione sul concetto di famiglia, vista da Michael, come un mero agglomerato di interessi, utile solo ai propri affari, mentre per il giovane Vito consapevole delle proprie origini siciliane, è una rete di conoscenze creatasi con l’apporto della violenza, in primis l’omicidio di Don Fanucci (Gastone Moschin), ma come tutte le relazioni, esse vanno curate giorno dopo giorno con calore umano, affabilità, presenza fisica sul territorio e gran cortesia verso ogni componente della comunità italo-americana, che vede in lui un punto di riferimento ed un protettore di gran lunga più “democratico”, rispetto alla precedente tirannia di Don Fanucci, che li vessava in continuazione.
L'erede di Don Vito, Michael Corleone, realizza profitti milionari con esponenti politici di alto rango direttamente alla luce del sole, nella sua nuova residenza in Nevada oppure in località esclusive come Miami, assieme all’ex socio in affari di suo padre, il criminale Hyman Roth (Lee Strasberg), capitalista in pensione (così si autodefinisce) di origine ebraica, che assieme agli altri suoi amici malavitosi, investe i propri soldi a Cuba, colonizzando di fatto l’isola, facendola così sprofondare sempre più in una spirale di illegalità, contro la quale si battono i guerriglieri castristi, in una lotta per la libertà dalla colonizzazione capitalistica-mafiosa, che per la sete di profitto, alla fine finisce con il divorare sé stessa alla ricerca insaziabile di sempre maggior potere. Nonostante ciò, Michael cerca di ottenere quell’istituzionalizzazione da anni tanto agognata, ma non ancora ottenuta dopo sette anni dalla promessa alla moglie Kay (Diane Keaton), quest’ultima ancora cieca innanzi alla natura criminale del marito, il quale cerca in tutti i modi di trasformare l’attività criminosa in una vera e propria impresa capitalista, che in quanto tale, tollera molto poco sia il peso delle tradizioni della famiglia, sia quello derivante dalle lontane radici italiane; innanzi ai repentini mutamenti socio-economici, vedendo con malcelata tolleranza i modi di fare sguaiati, volgari ed antisemiti, del suo ex-capo regime a New York Frank Pentangeli (Michael V. Gazzo), un contrasto di vedute, derivante anche dall’attaccamento di quest’ultimo a certi dogmi della morale criminale, percepiti da Michael come lettera morta o comunque da usare all’occorrenza in modo ipocrita, se possono procurargli un vantaggio personale, percorrendo in tale modo una strada che porterà ad una disgregazione progressiva della famiglia. Michael non ha affetto per nessuno; gli uomini della sua organizzazione sono mere pedine sacrificabili perché sostituibili all’occorrenza con “nuova forza lavoro”, la moglie Kay è utile solo in quanto madre dei figli, il fratello Fredo (John Cazale) è tragicamente inetto nella sua debolezza, essendo vittima di una sfiducia manifesta, così come la sorella Connie (Talia Shire) è praticamente messa sotto tutela, mentre Tom Hagen (Robert Duval) pur venendo considerato il “vero” fratello, non sfugge ad eventuali umiliazioni innanzi ai suoi uomini qualora diverga dal percorso prefissato, nonostante l’indubbia fedeltà da sempre dimostratagli ed infine, anche quando Michael accarezza il proprio primogenito Anthony, non si deve scambiare tale gesto per affetto, poiché il padre in lui vede solo uno strumento per perpetrare un giorno il suo potere.
Il nuovo Padrino a differenza di quello precedente, agisce quindi per negazione di ciò che afferma, esprimendosi tramite litote (“io non penso affatto di dover eliminare tutti Tom, solo i miei nemici”), mostrando così la propria natura ambivalente, non solo verso gli ostacoli esterni alla sua organizzazione mafiosa, ma anche nei confronti del proprio stesso nucleo familiare, da sempre stato in cima alle attenzioni di suo padre come afferma l’anziana madre Carmela; ma i tempi cambiano, così come il ruolo di capo-famiglia, pronto a valutare ogni decisione sulla base del soldo, unico strumento su cui poggia la fedeltà dei suoi uomini, pronti tra l’altro a tradirlo per la concorrenza in ogni momento per un’offerta o posizione più allettante.
In quest’ottica gli omicidi da mero fenomeno mafioso, vengono rivestiti di carattere sempre più “burocratico-economico”, in cui si deve valutare con ponderazione gli eventuali vantaggi o svantaggi, come nel caso della decisione sul destino di Hyman Roth, con tanto di riunione attorno ad un tavolino, con Tom Hagen, che brandisce in mano un fascicolo di fogli, quasi a voler rappresentare un vero e proprio consiglio d’amministrazione, dove si prendono le scelte fondamentali per la crescita “dell’azienda di famiglia”. La storia di Michael quindi, si sviluppa secondo una cupa tragedia shakespeariana, trasformandosi in una figura titanica che annichilisce, soffoca e distrugge tutto ciò con cui entra in relazione, facendo terra bruciata, perché siamo innanzi alla nascita dell’“Homo economicus, razionale ed individualista” (cit. Joseph Henrich), insensibile alle vite altrui quanto incapace di comprendere gli sbagli, anche se commessi in buona fede come Pentangeli, di chi credeva essergli fedele; poiché, in un finale che sa di una rimpatriata tra fantasmi spazzati via dagli eventi, sullo stile della tragedia greco-romana, per Michael la famiglia non ha mai avuto alcun significato, avendo sempre posto il suo sguardo verso orizzonti lontani, molto oltre il familismo amorale propugnato dal padre Vito, perché l’unica famiglia che Michael può concepire è quella avente un solo componente, cioè sé stesso.
Il Padrino – Parte II amplia, scava ed esplora la mitologia creata dal primo film, risalendo alle origini del fenomeno mafioso in Sicilia, lo sviluppo negli USA, la contaminazione con i metodi del capitalismo e le trasformazioni occorse durante gli anni 50’- 60’, costruendo un’epopea filmica dalla regia più che perfetta in ogni singola inquadratura, con una gestione calibrata dell'intreccio narrativo, giocando su assonanze e rimandi, che costruiscono un affresco totalizzante sulla mafia italo-americana, la cui impalcatura strutturale, come ricorda un Pentangeli in vena di lezioni sulla storia, trova addirittura origine nell’organizzazione dell’esercito romano, una latinità a cui Coppola si rifà anche figurativamente nelle battute finali, ispirandosi ad un dipinto di Miguel Manuel Sanchez, tramite un parallelismo tra la morte di Frank Pentangeli attraverso il taglio delle vene in una vasca d’acqua calda ed il suicidio del filosofo Seneca avvenuto in egual modo, perché anch’egli come Pentangeli, vittima di un potere imperale/mafioso, che gli ha imposto tale soluzione per evitare conseguenze peggiori ai propri cari. Coppola in questa ulteriore invettiva anti-sistema, recide i legami con il vecchio cinema classico, anche dal punto di vista attoriale; dovendo per forza di cose fare a meno dell’iconicità di Marlon Brando, lascia tutto lo spazio alla nuova generazione uscita dall’Actors Studio, che in Robert De Niro e Al Pacino aveva la sue punte di diamante, con tanto di chiusura del cerchio nella figura di Lee Strarsberg, loro insegnante di recitazione, nonché sviluppatore del “method acting”, che tanta influenza ebbe sulla nuova generazione attoriale della Nuova Hollywood. Al Pacino, alla migliore interpretazione di tutta la carriera, plasma un personaggio di un concentrato di pura malvagità, che distrugge le esistenze altrui in nome dell'accumulo di potere; egli si presenta innanzi agli altri con i suoi modi di fare rispettabili, però se le cose deviano dai suoi progetti, ci mette poco a dare sfogo alla propria ira, per poi passare immediatamente ad una rabbia “calcolata”, che risulta ancora più distruttiva per chi la subisce, poiché annichilisce la vittima psicologicamente. Meglio quindi il primo o il secondo capitolo del Padrino? Sono entrambe due opere complementari, sulle quali è inutile tentare di dare affermazioni definitive, come gran parte della critica sin dalla loro uscita ha cercato di fare, di sicuro la sperimentazione narrativa e lo sbattere in faccia certe verità scomode recenti (questione Cuba dove i castristi vengono visti come liberatori da un regime mafioso appoggiato esplicitamente dagli USA), non consentirono al Padrino - Parte II di conquistare i favori del pubblico come fece il capostipite, infatti al botteghino americano incassò 30 milioni contro gli 86 del capitolo precedente, ma agli Oscar il regista si prese una rivincita sul piano dei premi, ottenendo a livello personale, oltre alla statuetta per miglior film e sceneggiatura non originale, anche quella per la miglior regia, sfuggitagli con Padrino - Parte I.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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