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Il padrino - parte II

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il padrino - parte II

di ethan
10 stelle

1958: la famiglia Corleone si è trasferita a Lake Tahoe nel Nevada, per meglio controllare i casinò che gestisce a Las Vegas e Reno e il nuovo patriarca Michael (Al Pacino), che ha da tempo preso il posto di Don Vito (Marlon Brando nel primo film), deve far fronte ai più variegati problemi connessi alle sue attività criminose, che vanno dal contrastare altre famiglie mafiose, guidate dal boss di origine ebrea Hyman Roth (Lee Strasberg), che trama nell'ombra, a quelli causati da una Commissione d'Inchiesta del Senato, che indaga su attività presenti e crimini del passato del boss, nonché stare attento alla sua incolumità personale e ai dissapori tra i componenti del nucleo famigliare stesso, tendente, per disparati motivi, a sgretolarsi.

1901: in Sicilia, a Corleone, il piccolo Vito Andolini deve fuggire dall'isola perché il capomafia del posto ha ucciso tutti i suoi famigliari e vorrebbe eliminarlo anch'egli; sbarca così a Ellis Island a New York, dove, per un errore burocratico, attribuendogli come cognome la località di provenienza, viene registrato come Vito Corleone. Lo vediamo poi adulto (Robert De Niro), con la giovane moglie, i figli piccoli, i rapporti con Clemenza e Tessio e la svolta che sfocia nel suo primo atto violento e criminoso, a causa di una diatriba con il capo del quartiere, Fanucci (Gastone Moschin), che dirige e taglieggia tutte le attività della zona, al quale Vito non vuole sottostare: da qui inizierà la sua ascesa incontrastata nel sottobosco criminale, con la costruzione del suo clan e di un piccolo impero economico, dietro la copertura di una regolare attività di importazione e produzione di olio d'oliva.

Straordinario sequel di quella pietra miliare del cinema che è il primo capitolo, 'Il padrino - parte II', tratto anch'esso dal romanzo di Mario Puzo, è cosceneggiato dall'autore in coppia con Francis Ford Coppola, che lo dirige mirabilmente, portando avanti due piani narrativi e temporali diversi, riuscendo ad intersecarli in maniera magistrale, senza alcun intoppo e cali di tensione, che non manca mai nonostante le oltre tre ore di durata della pellicola.

Questa seconda parte ha in pratica due anime, antitetiche, aventi in comune però la violenza come metodo di risoluzione dei conflitti, rappresentate dalle due storie parallele che racconta: nella prima, ambientata nel presente filmico, Coppola accentua ancor più la componente mutuata dalla tragedia greca, con faide e complotti familiari, tradimenti, ribellioni che provocano rotture insanabili tra i membri della famiglia criminale originaria della Sicilia, la quale, man mano che incrementa il proprio potere economico e espande sempre più la sua influenza a livello politico, tenendo in pugno dei senatori ricattandoli, vede la sua disgregazione interna, con un boss che, alla fine, come aveva fatto nel regolamento di conti de 'Il padrino', risolve tutte le questioni tra vari clan ricorrendo con la sua proverbiale astuzia e ferocia ai metodi consueti, ma - come mostra l'emblematica inquadratura finale, sottolineata dalla cupa e livida fotografia di Gordon Willis, distrugge il nucleo famigliare, la cosa che più teneva al mondo, causa la messa in pratica da un lato dei codici mafiosi, basati sulla vendetta e assenza di perdono, e dalla rottura insanabile con la moglie Kay (Diane Keaton) dall'altro - rimane da solo a rimuginare coi fantasmi provenienti dal suo passato e coi sensi di colpa per ciò che ha fatto.

Nella storia che racconta invece l'infanzia e la gioventù di Vito, con un breve incipit e poi un finale dove egli consuma la sua vendetta, di ambientazione siciliana e tutto il resto avente come sfondo la New York di inizio del secolo scorso, pur essendo segnata anch'essa dall'uso sistematico della violenza, prevalgono toni epici e nostalgici, con persino qualche intermezzo comico - l'episodio con il signor Roberto (Leopoldo Trieste) - che serve parzialmente ad attenuare il climax causato dai molti conflitti in atto.

I ritmi sono sempre compassati e dilatati, Coppola prende sempre i suoi tempi ma nessuna sequenza, pur essendo elaborata, appare prolissa o superflua ma, al contrario, necessaria per narrare uno script così elaborato e approfondire lo scavo psicologico dei tanti personaggi mostrati: dal tormentato, freddo e calcolatore Michael di un Al Pacino a dir poco eccezionale, al giovane e apparentemente gioviale Don Vito di Robert De Niro, che ha per forza di cose modellato la sua prova elaborando la mimica facciale usata da Marlon Brando e aggiungendo in surplus l'uso della parlata in siciliano, al riflessivo Tom Hagen di Robert Duvall, al debole ed insicuro Fredo cesellato dal compianto John Cazale, passando dalla sofferta e dolente Kay di Diane Keaton alla più combattiva Connie di Talia Shire, per finire all'esordio del maestro dell'Actor's Studio Lee Strasberg, negli infidi panni del losco Hyman Roth e al semi-sconosciuto Michael V. Gazzo, nel breve ma significativo ruolo, che solo in un paio di scene sconfina nel macchiettistico, di capo-regime anziano, indotto al suicidio da Michael, forniscono tutti interpretazioni memorabili e destinate ad entrare nell'olimpo del genere gangsteristico.

Lo stile di Coppola - a cui l'Academy assegna, dopo avergliene negato un altro sacrosanto due anni prima, l'Oscar per la miglior regia, nonchè quello di co-produttore del film e di co-sceneggiatore e altri tre a De Niro come non protagonista (ma qui c'era solo l'imbarazzo della scelta...), alle musiche di Nino Rota e Carmine Coppola e al sontuoso lavoro di ricostruzione degli scenografi Dean Tavoularis, Angelo Graham e George Nelson - si fa ancor più raffinato che nel primo capitolo, con ampio uso di carrelli avanti, indietro e laterali, struttura a flashback con passaggio da un piano narrativo all'altro mediante dissolvenze incrociate, ma non risulta una pretenziosa dimostrazione fine a se stessa di capacità registiche ma bensì finalizzata a valorizzare la storia, i dialoghi e gli interpreti in scena.

Un capolavoro del cinema americano degli anni '70, del quale disquisire sul fatto che sia meglio questo o il primo capitolo non dico sia inutile ma quantomeno secondario, di fronte alla qualità e allo spessore di tali opere d'arte, accomunate dalla strepitosa resa cromatica, dovuta alla fotografia di Gordon Willis, incomprensibilmente ignorata tra le tante nomine attribuite e poi tramutatesi in statuette. Non per Al Pacino comunque, la cui sconfitta, (a vantaggio di Art Carney in 'Harry e Tonto'), tanto per stare in uno dei temi cardine del film, grida ancor oggi 'vendetta' !

Voto: 10 (v.o.s. e doppiaggio originale - 4 al doppiaggio del 2007).

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