Regia di Jean-Pierre Dougnac vedi scheda film
“Nicolò ou l’enfant trouvé”, (da noi “Una strana passione”) è una storia intrisa dell’ambiguità di passioni totalizzanti – e come tali estreme – animate da personaggi e situazioni sempre pencolanti tra l’assoluta felicità e la desolata disperazione. Classica vicenda insomma dell’ancor più classica poetica kleistiana ruotante costantemente su passioni e sentimenti estremi poi sublimati in tetre simbologie di dolore e di morte. (Sauro Borelli)
Tratto dal racconto Der Findling “ (Il trovatello) che Heinrich von Kleist scrisse nel 1811, questo film – opera prima di Jean Pierre Dougnac, attore, regista teatrale e docente all’IDHEC di Parigi, è complessivamente una buona “rilettura” che riesce a tradurre in immagini con passione e dedizione, la straordinaria densità della prosa di questo grande scrittore tedesco morto suicida a soli 34 anni. La visione pessimistica, quasi tragica del male, elemento ricorrente e centrale nella sua produzione letteraria (da ricordare al riguardo lo straordinario risultato raggiunto con La Marchesa Von… reinterpretato per lo schermo con eccellente rigore anche formale da Rohmer), è anche qui l’elemento fondante di una vicenda molto complessa che Dougnac riesce a raccontare con una gamma infinita di sfumature capaci di tenere costantemente desta l’attenzione dello spettatore, sul filo di una drammatizzazione sempre a un passo dalla tragedia che immancabilmente si concretizzerà in un finale di alta tensione emotiva (anche per le evidenti, “fiammeggianti” tensioni fra etica e degrado morale, che percorrono tutto il tessuto narrativo della storia).
La vicenda prende l’avvio quando Plachi, anziano e agiato gentiluomo italiano, affranto per la perdita dell’unico figlio morto prematuramente, decide di provare a compensare la terribile mancanza di questa inaspettata dipartita attraverso l’adozione di Nicolò, un orfano solo al mondo, e come tale in mancanza di un evento “salvifico” come questo, destinato a un ben triste destino.
L’anziano Plachi ha sposato in seconde nozze Elvira, molto più giovane di lui, che continua a rimanere strenuamente legata nel profondo del suo cuore a uno sfortunato amore dell’adolescenza, fortemente idealizzato nel ricordo nostalgico più romantico che reale di una passione giovanile rimasta “incompiuta”.
Nicolò in seno a questa sua nuova famiglia che gli garantisce un’eccellente prospettiva anche economica per il futuro, cresce così sano e intelligente, dimostrando affetto e riconoscenza per la fortuna che il destino gli ha riservato.
Non saranno però rose e fiori per sempre, perché il dramma arriverà poi puntualmente e si definirà proprio secondo gli schemi classici kleistiani, quando il ragazzo diventato ormai adulto e legittimo erede dell’ingente patrimonio del padre adottivo, inizia a commettere una serie di spericolate sciocchezze (anche sentimentali) che lo porteranno alla rovina completa.
Rimasto infatti a sua volta prematuramente vedovo (gli moriranno la giovane moglie e il bambino per le conseguenze di un difficile parto) Nicolò già dedito alle scappatelle extraconiugali, comincia ad insidiare addirittura la matrigna Elvira, donna fragile e malata che il vecchio ricordo di quel giovanile amore rende particolarmente coercibile. Ormai totale padrone della situazione anche sotto il profilo economico, essendo stato nominato erede universale dal padre adottivo, con presuntuosa arroganza riuscirà anche a cacciare di casa il vecchio patrigno che, accortosi della tresca, rischiava di ostacolare i suoi piani.
Plachi però non è uomo da lasciarsi umiliare, e ritornerà dunque per far valere i suoi diritti mettendo in atto (e portando a termine) con meticolosa determinazione, una vendetta che – possiamo ben dirlo – travalicherà persino i limiti della vita terrena. Non è ovviamente opportuno aggiungere altro, ma chi avrà avuto modo di leggere il racconto di von Kleist sa bene a cosa alludo e converrà con me che non è il caso di guastare con troppe rivelazioni il piacere dei possibili, futuri spettatori che potrebbero approcciarsi alla visione di questa pellicola oggettivamente tutt’altro che di non facile reperibilità.
Concludendo, come si può ben immaginare da ciò che ho esposto sopra, è un racconto “atrocemente” truculento su tema della vendetta e del castigo che il regista riesce a controllare con adeguato rigore formale e a rendere credibile grazie a un’ottima ambientazione scenografica che ricostruisce con perfetta aderenza l’epoca in cui sono ambientati i fatti. L’opera non è ovviamente priva di alcune piccole “ingenuità di fattura, imputabili soprattutto all’inesperienza (non va dimenticato che si tratta di un “esordio” almeno sul grande schermo) ma è sostanzialmente degna (e rispettosa) della eccelsa fonte letteraria da cui trae origine, e questo a conferma dell’ottima preparazione non solo tecnica, ma anche culturale, del regista
Se qualche problema di tenuta esiste, questa riguarda semmai la resa non sempre esemplare di tutti gli interpreti (annoso problema che si presentava sovente in quegli anni di fronte a co-produzioni internazionali come questa, perché le “regole del gioco” dovute agli stanziamenti incrociati provenienti dalle varie nazioni “associate” – nel caso in oggetto Francia e Italia – obbligavano di attenersi al compromesso di “scegliere” interpreti non con criterio omogeneo, ma attingendo ai vari bacini di utenza e di “popolarità” dei paesi committenti nei quali poi le opere sarebbero state prioritariamente distribuite. Qui ci troviamo comunque più che in altre circostanze di fronte a una accozzaglia tutt’altro che ben amalgamata con evidenti punte di eccellenza ed altre meno “efficienti” e abbastanza “stridenti”che un po’ infastidiscono. Nei pregi, da ricordare soprattutto la corposa performance dell’ottimo Fernando Rey (Plachi) e quella altrettanto importante di Brigitte Fossey (Elvira), con l’adeguato contorno di una giovanissima, già splendida Emmanuelle Béart (Costanza) e di Riger Planchon. Nelle defaillances, dobbiamo purtroppo annoverare invece la sbiadita prova dell’altro protagonista (Nicoò) che non riesce a stare al passo col suo antagonista, ed è un vero peccato perché si tratta in ruolo “strategico” che oggettivamente le fragili spalle del nostro Saverio Marconi (allora sulla cresta dell’onda per il successo ottenuto qualche anno prima con Padre padrone dei fratelli Taviani e che ben ha fatto a “rigenerarsi” cimentandosi poi nel ruolo a lui molto più confacente di regista) non riescono proprio a sostenere, finendo così per appiattire la sua dimensione drammatica. Accanto a lui troviamo inoltre- sempre di italica provenienza - Agostina Belli, Remo Remotti, Margherita Sala e – singolare presenza sulla quale potremmo porci più di un interrogativo – Miranda Martino nella parte della madre di Elvira. Saverio Napolitano interpreta invece il ruolo di Nicolò bambino.
Il film oggettivamente non può proprio per questi squilibri aspirare alle quattro stellette, e mi devo di conseguenza fermare alla sufficienza anche se il punteggio più “centrato” e giusto (se il sistema lo prevedesse) sarebbe quello delle ***½.
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