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Shark 3D

Regia di Kimble Rendall vedi scheda film

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La recensione su Shark 3D

di giurista81
3 stelle

 

Siete stanchi di film sugli squali killer e sempre affamati di uomini? La risposta è no...? E allora eccone un altro, di impronta trash e ascrivibile al rango dei B-movie.

Uscito nel 2012, è una co-produzione tra Singapore e Australia che probabilmente ha ispirato la saga Sharknado (2013), accostamento utile a farvi capire cosa vi apprestate a vedere.

Uno tsunami sconvolge il Queensland. La messa in scena dell'evento è da disaster movie di serie z, tipo quello trasmessi su Cielo. Le onde distruggono la costa e si portano dietro un ecosistema marino (!?). La storia si sposta all'interno di un supermercato dove era in corso una rapina. I sopravvissuti montano sopra gli scaffali e sulla parte superiore degli scompartimenti, perché sotto ci sono tre metri d'acqua (non la fossa delle Marianne) e fanno questo in attesa dei soccorsi. Non si capisce bene perché non tentino subito di uscire, ma sorvoliamo. Del resto siamo pur sempre in città e qualcuno arriverà. Eppure di soccorsi non se ne vede neppure mezzo per tutto il corso del film, perché se il supermercato è rimasto in piedi quasi tutta la città è collassata e coperta da rovine. Lo capiremo, a fine film, con il trashissimo zoom out alla Butch Cassidy. Fatto sta che i “nostri” sembrano alla deriva in mezzo all'oceano, perché indovinate un po' chi arriva al supermercato? Avete detto “uno squalo bianco”? Errato, ne arrivano due. E sono pure affamati e incacchiati, mangiano un uomo dietro l'altro senza trovare tregua e non sporgetevi troppo perché saltano anche come delfini e vi portano sotto, persistendo a fare il tondino dentro il supermercato. Questo già dovrebbe bastare a farvi comprendere il target del film, ma io vi aggiungo anche un gruppo di soggetti che prendono a litigare tra loro, un fucile a pompa che uccide gli squali sparando da sott'acqua, un sub di fortuna che si immerge con dei reticolati metallici attorno al corpo così che lo squalo possa ignorarlo (!?) e, dulcisis in fundo, una banale auto che, pur se immersa nell'acqua, non lascia filtrare la minima goccia all'interno, dando modo agli occupanti di parlare del più e del meno, con argomenti apicali quali il marchio Gucci che campeggia sulle scarpe di uno dei due e che in realtà è un falso d'autore.

Soggetto e sceneggiatura, dunque, sono da schiaffi, anche per una certa volontà di caratterizzare e dare un background sentimentale ai personaggi. Stupisce il coinvolgimento di Russel Mulcahy, vero e proprio maestro del genere, seppure un po' perso per strada al passare degli anni. Lo ricordiamo alla regia di Razorback (1984), Highlander (1985), Resurrection (1999) e Resident Evil: Extinction (2007). Il regista australiano è la mente dietro al progetto. Produce, scrive soggetto e copione, sebbene il soggetto venga addirittura sottoscritto da altri cinque autori (!?), tra cui non vi è colui a cui viene affidata la regia. Mulcahy infatti bypassa la direzione, adducendo il pregresso impegno con la serie televisiva Teen Wolf, e lascia il compito al connazionale Kimble Rendall, non proprio un debuttante. Classe 1957 e con un passato da chitarrista, Rendall è un nome in forte ascesa su cui è legittimo scommettere. Votato in un sondaggio condotto dalla rivista Rolling Stone quale il miglior regista di video musicali australiani, era passato agli spot televisivi persistendo a mietere successi (premiato a Cannes) tanto da tentare il grande salto al cinema in Australia. Chiamato a dirigere la star locale Kylie Minogue nel teen slasher Cut (2000), Rendall aveva proseguito a mantenere il tocco da Re Mida. Altro successo pazzesco, ai vertici degli incassi sia in Francia che in patria, dove Cut diviene il secondo film popolare australiano più visto di sempre. Un'ascesa che proietta a Hollywood il regista col ruolo di regista della seconda unità, nientemeno che, di Matrix Reloaded (2003) e Matrix Revolutions (2003) dei Wachowski, ma anche di I Robot (2005) di Alex Proyas e Ghost Rider (2007). È con questo invidiabile curriculum che Rendall si presenta all'appuntamento Shark 3D, diffuso in Australia col titolo Bait 3D, cioè “Esca 3D”. Mulcahy è dunque degnamente sostituito e tutto lascia sperare per un nuovo successo ma... la caduta è dietro l'angolo.

Le tante aspettative vengono presto disattese da una pellicola che fa già acqua dal soggetto. Rendall piazza qua e in là qualche sequenza riuscita, ma ha poco in mano. Gli effetti speciali a volte funzionano altre sono da serie z. Rendall infatti (a ragione) spinge sulla produzione per utilizzare solo squali animatronic, cercando di ridurre al minimo la computer grafica. Quando ci sono gli animatronic il film regge, ma crolla con una computer grafica da bassa produzione. Il gore c'è, alcuni momenti tende allo splatter, ed è l'unica cosa che permette di non far naufragare del tutto la pellicola, comunque più che mediocre. Vediamo un tipo diviso in due da uno squalo, mentre viene tenuto penzoloni sopra l'acqua (e lo squalo che lo addenta, pur se di diversi quintali, sospeso anche lui in aria per diversi secondi come se fosse un luccio!?). Ci sono poi un numero infinito di morti che, alla Inferno di Dario Argento, galleggiano nell'acqua. Chi non ha più arti, chi ha il volto scarnificato, chi viene addirittura utilizzato da esca viva.

Le interpretazioni non eccellono anche perché i dialoghi, certamente non aiutati dalla stanziale ambientazione, sono scritti con i piedi. Il film è infatti ambientato all'interno del supermercato invaso dall'acqua e nel relativo parcheggio sotterraneo.

Poca roba, ma determinante, probabilmente, a far sorgere la pazzesca e folle idea che sta alla base della parodia Sharknado.

 

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