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Frozen - Gelido

Regia di Shivajee Chandrabhushan vedi scheda film

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La recensione su Frozen - Gelido

di leporello
8 stelle

   Se è vero che la sconfinata produzione indiana qui da noi arriva un po’ col contagocce e più o meno sempre con gli stessi nomi (bene, finchè si tratta della Bollywood nazional popolare che insegue i gusti massificati), poter vedere questo “Frozen”, di un giovane regista dal nome intrascrivibile (pure col copia-incolla si fa fatica...) laureato in psicologia, è sicuramente un bell’evento.

 

   Anche se la prima cosa che risalta, nell’accurato bianco e nero della pellicola, è un contrasto evidente tra lo scenario himalayano e il taglio indubbiamente “yankee” dello stile di ripresa, del tocco filmico assolutamente “occidentale” di Shivajee Chandrabhushan (ce l’ho fatta!), contrasto che risulta un po’  pesante e stucchevole all’inizio, ma che tende a ridursi fino a scomparire nel procedere della visione (nonostante, ad esempio, l’interessantissima, bella colonna sonora utilizzata  sia indiscutibilmente e pervasivamente “yankee”), la storia toccante e misterica del vecchio Karma e i suoi due figlioli, poveri produttori di marmellata DOC in un mondo che, fucili alla mano, si sta trasformando sotto i loro inconsapevoli occhi, il disvelarsi del loro rapporto (del quale si potrà conoscere davvero tutto non prima dello spiazzante finale a sorpresa), i mutevoli registri con cui si appoggia il film sul protagonista vero (l’adolescente, bellissima  Lasya interpretata da Gauri Kukarni, così almeno credo, visto che nei titoli di coda che elencano il cast è indicata semplicemente col nome  “Gauri”, e che col termine/nome Gauri, nel panorama indiano, si va dalle danze cerimoniali “Raga” fino ad una mezza milionata di gente varia), rendono questo film ( etichettato come “indipendente” e suscitando di conseguenza la non ingiustificata perplessità del suo autore relativamente a questo termine non esattamente precisabile) un’opera sicuramente molto interessante, pluripremiata e/o riconosciuta  in contesti festivalieri che spaziano dall’Asia fino alla Grecia, alla Francia e al Sudafrica, della cui visione si renda merito (per una volta almeno da parte mia, cosa rara) alla RAI italiana per averlo proposto.

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