Regia di Andres Muschietti vedi scheda film
A volte basta poco, anche meno di tre minuti di cortometraggio, per cambiare una
vita. È il caso dello spagnolo Andrés “Andy” Muschietti, regista pubblicitario che con Mamá ha conquistato Guillermo del Toro finendo per dirigere uno dei successi di questo inizio di 2013 in Usa. La Madre nasce da quel corto del 2008, girato quasi tutto in piano sequenza: due bambine spaventate e dominate da Mama, una madre spettrale, per cui nel film si finisce per provare empatia. Nel suo attaccamento verso le piccole c’è un amore tanto terribile e possessivo quanto autentico, che origina da una tragedia passata. L’altro cardine della pellicola è Annabel, interpretata da una Jessica Chastain in inedita versione punk/rock, con capelli corvini e tatuaggi. Annabel si ritrova ad accudire le figlie del gemello del suo compagno, rimaste orfane dopo un gesto di follia del padre e selvaggiamente cresciute, per diversi anni, in apparente solitudine in una catapecchia nella foresta. Immagini che rimandano alle streghe in mezzo al bosco delle fiabe e che il team di Del Toro e Muschietti rendono in chiave dark, con una produzione molto curata e quasi patinata. La Madre non manca delle consuete impennate di volume e degli attacchi di stupidità dei personaggi tipici del genere, ma si tratta di topoi di cui non eccede in favore di un’atmosfera che angoscia per il destino delle due bambine e di Annabel. Piuttosto che nell’horror americano, il film affonda le radici nel mélo e nel tema della maternità come una forza spaventosa, rifacendosi a classici come Medea e a una sensibilità che ritroviamo soprattutto in Oriente, per esempio in Dark Water di Hideo Nakata. Originale nella sua prospettiva femminile e adulta, La Madre vanta una creatura digitale realizzata sulla danza sinistramente scomposta di Javier Botet piuttosto insolita: Mama non è iperrealistica ma volutamente straniante (il resto degli effetti infatti è ben integrato al girato) fin dalla sua resa grafica, a rimarcarne la provenienza da un’altra e più astratta dimensione come, dice il regista, «un Modigliani lasciato a marcire». Notevole poi il finale, che dimostra di credere davvero nella storia raccontata: una sincerità che non lascia indifferenti.
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