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Lovelace

Regia di Rob Epstein, Jeffrey Friedman vedi scheda film

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La recensione su Lovelace

di maurizio73
4 stelle

Nella crasi tra il radicalismo puritano della famiglia d'origine e la definitiva mercificazione del corpo femminile in quella d'approdo, è un biopic dove la banalità della storia evita la provvidenziale mitizzazione narrativa della protagonista, capace altrimenti di rendere veramente interessante un personaggio nei fatti ordinario e insignificante.

La storia vera Linda Susan Boreman, dalla vita con i genitori nella Florida degli anni '70 dopo una gravidanza indesiderata ad un menage coniugale di violenze domestiche nella New York dell'industria cinematografica a luci rosse, dove salirà agli onori della cronaca per il primo film pornografico mainstream con il nome d'arte di Linda Lovelace. 

 

Teaser poster

Lovelace (2012): Teaser poster

 

Biopic convenzionale che organizza il parallelo tra le vicissitudini personali e le vicende professionali della star a luci rosse che ha sdoganato definitivamente l'immaginario cinematografico hardcore nella cultura americana, attraverso il faticoso espediente di un montaggio ellittico ed una commistione di registri che mescola confusamente storia del costume e denuncia sociale. L'esperienza nel documentario a tema non aiuta gli autori a sollervarsi dal pantano di una narrazione piatta e frammentata, non ostante le velleità di una accurata ricostruzione d'ambiente e le caratterizzazioni di rito di un cast più che adatto allo scopo, finendo col propinarci una storiella di sordido sfruttamento della prostituzione prima e di tardive rivalse in chiave femminista poi. Insomma, siamo più dalle parti del fintamente patinato alla Star '80 che della spietata autarchia etica di Boogie Nights, compreso il fuori campo in cui vengono alloggiate comodamente le scene più scabrose ed una struttura melodrammatica che si perde  nella dissennata economia della post produzione (sparite pure le scene di Sarah Jessica Parker in un cameo nella parte di Gloria Steinem, storica portavoce della causa femminista). Nella crasi quasi scontata tra il radicalismo puritano della famiglia d'origine e la definitiva mercificazione del corpo femminile in quella d'approdo, è un biopic dove la banalità della storia evita la provvidenziale mitizzazione narrativa della protagonista, capace altrimenti di rendere veramente interessante un personaggio nei fatti ordinario e insignificante, finanche privo di quella dimensione tragica che la vicenda reale potrebbe suggerirci. Amanda Seyfried, costretta al trucco e parrucco, ha un corpo imperfetto e conturbante quanto basta, mentre il vero paradosso recitativo è quello di una irriconoscibile Sharon Stone che senilità ed esigenze di casting costringono ad una riuscita mortificazione della carne. Non ostante la prestigiosa presentazione al  Sundance Film Festival ed alla Berlinale 2013, critica e botteghino sono concordi nel decretarne un insuccesso senza molte possibilità di appello.

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