Regia di Rob Epstein, Jeffrey Friedman vedi scheda film
Lovelace è un’opera biografica che nel suo piccolo non farebbe niente di male, ma sussiste un problema. Finire impelagati nella più totale retorica, che non si fa mancare proprio nulla per ovviare alle circostanze, è un limite, tanto più quando i direttori d’orchestra sono due registi come Rob Epstein e Jeffrey Friedman, che con Urlo avevano lasciato intendere ben altro spirito di osservazione.
L’espletamento della pratica è assolutamente accettabile ma ogni evoluzione è fin troppo prevedibile, incanalata e programmatica.
Quando conosce Chuck Traynor (Peter Sarsgaard), la giovane Linda Boreman (Amanda Seyfried) può finalmente farsi una vita, lasciando la casa dei genitori (interpretati da Sharon Stone e Robert Patrick). Dovendo fare i conti con ristrettezze economiche, Chuck propone Linda al regista di film porno Gerard Damiano (Hank Azaria): insieme gireranno Gola profonda, che diventerà un cult movie.
La fama non sarà accompagnata dalla felicità e nemmeno da quel futuro sereno che un successo del genere poteva portare a un tiro di schioppo.
Lovelace aveva dalla sua parte tante frecce da scagliare, ma quando si tratta di scegliere quelle giuste, così come trovare un equilibrio o una via d’uscita dalla prassi, si entra in un altro (complicato) discorso e, se pensavate di potervi trovare al cospetto di un nuovo Boogie nights, potete riporre nell’armadio le vostre velleità.
Tanto per cominciare, quando si parla della pornostar più famosa del mondo e di una donna presa come immagine della rivoluzione sessuale, occorrono un coraggio e uno spirito d’iniziativa che a Rob Epstein e Jeffrey Friedman mancano.
La disposizione è fin da subito incanalata, riportando la patina del periodo storico con ampio spazio alla realizzazione – divertita - di Gola profonda, tra luci e ombre, i costumi sociali che cambiano, con una concezione datata dura a morire, non tanto per il porno ma per i valori, secondo i quali al marito si deve (doveva) obbedire, anche quando è violento, perché se succede, sicuramente te lo sei meritato.
Ne consegue un corollario di abusi, con tanti aspetti racchiusi in spazi ridotti, con l’aggravante di non elargire reali acuti, fornendo poco più di un riassunto scolastico che, nel suo apparire premeditato, non riesce nemmeno a emozionare fino in fondo, non avendo a disposizione nemmeno i tempi scenici per farlo.
Essendo quindi tutto facilmente indirizzabile, l’attenzione passa al contorno, che vede impegnati parecchi volti noti. Amanda Seyfried è un usignolo che non sfigura (anche se fatica su qualche nota più tosta), Peter Sarsgaard deve dar fuori di matto per contratto, mentre nel contorno si può attuare un simpatico quiz che consiste nello scovare gli attori. Sharon Stone accetta - per una volta - lo scorrere del tempo essendo quasi irriconoscibile, Hank Azaria dai tempi di Gargamella (I puffi) sappiamo chi sia senza poter decifrare i suoi connotati e poi ci sono l’immancabile apparizione di James Franco (soprannominato l’attore ovunque), il recupero di Eric Roberts e piccole parti per una procace JunoTemple, Wes Bentley, Robert Patrick e Bobby Cannavale.
Sì, tanto vale perdersi nella confezione, perché l’essenza di Lovelace appare fin troppo premeditata e non possiede nemmeno un respiro profondo, nonostante sia impegnato nella ricerca della verità emotiva, con i suoi autori che ripiegano, come se bastasse il compitino tipico di chi studia a memoria per farla franca.
No, non basta.
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