Regia di Rob Epstein, Jeffrey Friedman vedi scheda film
Ricostruzione biografica della vita di Linda Lovelace, attrice che negli anni ’70, grazie alla sua profondità orale, sconvolse l’industria del porno, prendendo parte a quello che è ancora oggi il film più famoso del genere.
Avviso ai naviganti: per chi si approccia con volontà voyeuristiche o intenzioni pruriginose a “Lovelace”, magari attratti da una locandina in cui la protagonista Amanda Seyfried secerne sensualità da ogni singolo poro, potrebbe rimanere seriamente deluso. A parte il seno in bella evidenza della splendida attrice, il film dei documentaristi Robert Epstein e Jeffrey Friedman lascia sullo sfondo l’evento mediatico e perfino le capacità recitative della protagonista, cavalcando invece con maggiore evidenza la trama della tormentata vita matrimoniale e in genere familiare della donna. Paradossalmente il divieto (ai minori di 17 anni negli USA e di 14 in Italia) è dovuto più alle scene di violenza (soprattutto domestica e psicologica) che a quelle di nudo o di esplicitazione di pratiche sessuali.
Sul piano del rapporto tra questo film e l’originale citato, gli autori dimostrano di aver analizzato con attenzione l’originale, riproducendo numerose scene di “Deep throath” in maniera quasi pedissequa. Tuttavia non c’è grande enfasi attorno alle doti recitative della Lovelace attrice, rispetto a quello che di umano (e disumano) le accade in qualità di essere umano.
La sceneggiatura è molto interessante e ruota attorno alla figura del marito di Linda. Nella prima parte, in cui arrivano soldi, successo e amore (apparente), Chuck Traynor (Peter Sarsgaard) appare come un uomo protettivo, quasi amorevole. Quando tuttavia la sceneggiatura rivela le reali intenzioni dell’uomo, che da protettivo si rivela “protettore”, sfruttando l’avvenenza e la morbosità nei confronti della moglie dei numerosi uomini che le ronzano intorno, si realizza come Chuck abbia sfruttato la fragilità emotiva di Linda (ragazza madre, con genitori conservatori all’inverosimile), costringendola su una strada obbligata ed ampiamente per lei pianificata.
Gli amorevoli incoraggiamenti a dimenticare il duro passato si rivelano così meschina violenza psicologica, la volontà di creare una carriera per Linda d’improvviso si tramutano in squallidi intenti arrivisti, finalizzati all’acquisto di droga, auto e case di lusso, ma anche per finanziare le strampalate idee imprenditoriali dell’uomo. Ecco che dunque la vita apparentemente scanzonata di Linda si mostra per quella che è: un incubo, la parte più torva e dalle tinte più forti dell’intero film. D’improvviso le scene precedenti appaiono sotto una luce nuova. Alcune sequenze di raccordo svelano accezioni differenti. Flashback e flashforward impazzano, ricucendo come un puzzle la reale vita dell’autrice e connotano questo “Lovelace” come un’interessante rappresentazione biografica dalla costruzione originalissima.
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