Regia di Rob Epstein, Jeffrey Friedman vedi scheda film
DEEP THROAT ovvero HOW FAR DOES A GIRL HAVE TO GO TO UNTANGLE HER TINGLE?
Un bel dilemma era questo capzioso interrogativo, lanciato spudoratamente dal flano che appariva sul manifesto originale, nei cinema americani, a pubblicizzare la pellicola ad inizio anni '70.
E che corse, che folla davanti alle sale, per vedere il primo vero film pornografico della storia del cinema, dopo tanta cinematografia semiclandestina fatta di filmetti amatoriali a circuito chiuso. Non che questo Gola profonda possa essere considerato un capolavoro, per carita', ma certo il capostipite di un'industria magari discutibile, ma con un mercato smisurato; il primo film porno che presentava con una parvenza di tessuto narrativo, una certa facile ironia ed umorismo magari a volte pure involontario, altre volte calibrato sul doppio senso e sulla piccola geniale ideuzza di focalizzare tutta la non-storia sui "drammi" di una donna che si ritiene frigida, finché non scopre, grazie all'intuito e all'aiuto (molto pratico) di un sessuologo "dotato", di possedere il clitoride in fondo alla gola, anziché nei pressi del proprio apparato sessuale.
Fatto sta che con questo film Gerard Damiano passa alla storia, ed ancor piu' di lui la graziosa e quasi impacciata Linda Susan Boreman, alias Linda Lovelance appunto: eroina sfortunata e combattuta tra voglia di indipendenza, senso di colpa e sopraffazione maschile.
Un personaggio la cui storia è tutta un sali-scendi tra fortune e crolli, gloria ed oblio, in perfetta sintonia per una trasposizione cinematografica, come lo e' stato anni fa quello di Tina Turner, esempio piu' unico che raro di celebrazione biografica di un'artista mentre e' ancora in vita (ed attiva). Ecco allora che Hollywood, magari dopo un po' troppi tentennamenti a causa dell'argomento "caldo", si lancia pure nel biopic della Linda che fece sognare una intera generazione, portò la pornografia nei circuiti d'essai e viceversa, aprendo la via ad un'industria e ad un business di proporzioni gigantesche. Da tutto ciò la Lovelace ne fruttò poco più di mille dollari: il resto se lo mangiò il suo marito-sfruttatore. L'epopea di una vita in picchiata in entrambe le direzioni è stata affidata con una certa coerenza alla regia della celebrata copia Epstein/Friedman de Lo schermo velato e di Urlo.
Il risultato, non certo vergognoso, e' tuttavia limitato ai minimi sindacali, scarnificato in una storia svilita in un'ascesa ed una caduta entrambe frenetiche (ma pure frettolose, meccaniche e pure contorte a causa anche dell'utilizzo molto poco comprensibile di un poco riuscito e contorto flashback sulla genesi del famoso film e sul suo lancio sul mercato), ma comunque esile e puerile, tenuto conto delle potenzialita' gia' espresse altrimenti dalla coppia di registi coinvolti nel progetto.
La regia e la ricostruzione del periodo storico sono, bisogna ammetterlo, molto accurate, cosi' come il cast, che conta nomi eccellenti anche in piccoli ma fondamentali camei (James Franco, Eric Roberts, Adam Brody, Cloe Sevigny, Juno Temple, Wes Bentley, Debi Mazar, Bobby Cannavale, Robert Patrick), e' da budget sostenuto. E la stessa Amanda Seyfried, anche in questo caso, dopo i suoi ruoli da new hippie stile Abba, dopo i Capuccetti Rossi da favola gotica, dopo gli horror giovanil-zombeschi e le fantascienze da replicante, si rivela anche stavolta un'interprete di spessore e migliore del risultato complessivo dell'opera di cui è protagonista.
Il tarlo più evidente del film, o comunque il suo punto debole, è proprio la scrittura, la descrizione dell'epopea, che si muove con stanca superficialità e forse timorosa di osare addentrarsi senza remore o falsi perbenismi nei meandri di un mondo mercenario e senza scrupoli, sempre al confine tra la mercificazione del corpo e il concetto di prostituzione vera e propria, senza mezzi termini. Rifugiandosi dunque, errore clamoroso, sul lato troppo facilmente e ricattatoriamente melodrammatico della donna attirata dal successo, ma presto costretta ai voleri di un marito-padrone che la sfrutta certo, ma pure male, scelleratamente, addirittura svendendola come una baldracca da quattro soldi per guadagni rapidi e di basso profilo e tenere a bada gli strozzini che lo incalzano a rimborsare i debiti accumulati. Ora, non che potesse altrimenti cambiare l'impianto accusatorio a carico di un marito prevaricatore e tiranno come fu Chuck Traynors (qui reso da un valido Sarsgaard) se costui l'avesse sfruttata almeno per scopi o produzioni almeno epocali o quantomeno piu' ambiziose e lucrative Di cui potesse giovarsi pure la vittima, usata, spremuta e schiavizzata come un automa senza personalita' propria.
Altri personaggi poi, come quelli dei genitori (la madre e' una quasi irriconoscibile Sharon Stone, sottopostasi per l'occasione ad una cura invecchiante a dir poco laboriosa sul suo fisico che sappiamo ancora perfetto ed avvenente), appaiono come delle formine scialbe e monocordi che rendono stucchevoli molte delle situazioni che li vedono coinvolti.
Lovelace insomma e' un film che sostanzialmente delude le aspettative alte che riponevamo nella trasposizione, nei due registi non senza motivo molto considerati, ma che tuttavia si salva in parte per una buona aderenza scenografica e d'insieme nella resa cinematografica e visiva dei primi anni Settanta, e con loro di un'America che inizia orgogliosa la sua lunga e tormentata battaglia per rivendicare i propri diritti e a rifuggire le omologazioni di un bieco e beghino perbenismo d'accatto di stampo ottusamente conservatore.
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