Regia di Rob Epstein, Jeffrey Friedman vedi scheda film
Se il cinema è l'atto del guardare ed il voyeurismo una sua connotazione, va da se che la settima arte non possa fare a meno di sbirciare all'interno di quel santuario di massime pruderie che costituisce l'universo pornografico, ed in particolare nel cosiddetto "altro cinema" che proprio sul principio degli anni 70 cercò di farsi accettare promuovendosi nel circuito ufficiale con un film come "Gola profonda" "interpretato" da quella che sarebbe diventata il simbolo stesso del nascente movimento: Linda Lovelace. Un passaggio, che il biopic di Robert Epstein e Jeffrey Friedman coglie nella scarnificazione del dato anagrafico presente nel titolo, che semplifica alla perfezione il passaggio dal personaggio in carne ossa rappresentato dalla ragazzina sprovveduta ed ingenua, all'astrazione di un nome -Lovelace- destinato a diventare il marchio del business legato ai porno movie.
A finire sullo schermo infatti è il pubblico ed il privato di una donna bambina vittima di opposti nuclei famigliari: quello biologico rappresentato da una madre anaffettiva e da un padre troppo debole, e quello putativo, formato da un marito cinico e violento, e dalla crew di produttori, registi ed attori, in un modo o nell’altro interessati a sfruttarne la popolarità tentando di convincerla a girare nuovi film. Se la fine è nota, con Linda che riesce a sfuggire ai propri carnefici ed a rifarsi una vita normale, con marito e figlio a carico, quello che interessa ai registi è approfittare della reale esistenza del personaggio per enfatizzare un percorso esistenziale paradigmatico e salvifico, in cui adeguandosi alla morale puritana, il sesso figura come ago della bilancia per distinguere tra il bene e il male. Sulla scia di film come “Boggie Night” e “Wonderland” che, nelle rispettive diversità esploravano uno scenario analogo, “Lovelace” è tradizionale nel mettere in scena la biografia del suo personaggio, con una forma – tipicamente classica- che preferisce rappresentare i fatti piuttosto che interpretarli in una dimensione psicologica, o secondo un punto di vista inedito e personale. A riprova d ciò basterebbe la scelta di abbracciare un arco narrativo cronologicamente esteso, che invece di risalire al tutto isolando uno specifico episodio (come fece il film di James Cox rispetto alla vita di John Holmes) preferisce snocciolarlo con una serie di sequenze oggettive (piani americani ed assenza di riprese anomale) che passando in rassegna i momenti salienti di una giovinezza rubata, ricostruisce i fatti in maniera ordinata e pragmatica. Saturando lo spettatore con emozioni preparate a dovere dall’immancabile spiegazione, ed evitando il beneficio del dubbio attraverso un positivismo edulcorato e rassicurante, “Lovelace” non è l’indagine su una cittadina al di sopra di ogni sospetto, bensì la cartolina di un’epoca, in cui Linda ed suoi amici più che esseri umani vi risultano come un fenomeno di costume. Interpretato a dovere da un cast ineccepibile -ottima la prova di Amanda Seyfried nella parte della protagonista- il film suscita una curiosità non sempre ripagata.
(icinemianiaci.blogspot.com)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta