Regia di Tony Gilroy vedi scheda film
Rispetto all'omonimo romanzo, il primo scritto da Eric Van Lustbader, ma che s'inserisce dopo i tre creati da Robert Ludlum, vi si narra una trama completamente diversa, secondo la scelta di Tony Gilroy, qui per l'occasione in veste non di solo sceneggiatore ma anche di regista.
Questo è il quarto film di una (per ora) tetralogia, che si è guadagnata la vetta nel mio giudizio, perché è certamente fra le migliori opere del genere spionaggio d'azione che io abbia mai visto. Non vi ho riscontrato, infatti, alcun difetto evidente. Sebbene questo capitolo sia abbastanza indipendente dagli altri e sia possibile comprenderlo senza averli visti, il mio consiglio è comunque quello di recuperare i precedenti The Bourne Identity (2002), The Bourne Supremacy (2004) e The Bourne Ultimatum (2007). In particolare, qui sono affrontati eventi paralleli al terzo, in una considerevole quantità di rimandi, citazioni, riferimenti a nomi, organizzazioni, progetti e personaggi, che sarebbero inevitabilmente condannati ad essere privi di significato, se non adeguatamente contestualizzati in una preesistente conoscenza.
Non mi riconosco in nessuna delle (aspre e pesanti) critiche di cui The Bourne Legacy è vittima, a mio avviso ingiustamente. L'unica differenza oggettiva riscontrabile, infatti, è l'assenza di Matt Damon. Ma può essere considerato un difetto a priori? Per me no. Tony Gilroy (una garanzia, avendo scritto tutti gli episodi... è sempre lui, non dimentichiamolo) inietta nuova linfa vitale e trova la giusta maniera di proseguire il racconto senza apparire lezioso, monotono o banale, vincendo quindi la scommessa di saper rinunciare ad avere in scena Jason Bourne. Per i nostalgici compaiono comunque Ezra Kramer (Scott Glenn), Noah Vosen (David Strathairn), Pamela Landy (Joan Allen) e Albert Hirsch (Albert Finney). Altre novità, forse più scontate, derivano dal cambio in cabina di regia e nella colonna sonora. Devo ammettere di preferire maggiormente questo stile di direzione, capace di restituire un'azione pulita, chiara, mai caotica, coinvolgente, anche nei momenti più concitati. Oltre a elogiare il netto guadagno nel potersi affidare alle musiche del talentuoso James Newton Howard.
Storia e personaggi sono in linea con i predecessori, confermandone gli ormai ben noti pregi, dalla cura per un'approfondita caratterizzazione (nessun comprimario che sfiguri) all'intelligenza di dialoghi affatto superflui (che anzi rappresentano contributi preziosi alla narrazione), motivando l'interesse e l'attenzione seguendo canoni insoliti per il genere.
Approvata è la scelta del cast. Jeremy Renner (Aaron Cross) accoglie l'eredità e incarna il protagonista. Non sarà una figura carismatica, ma è adatto (il suo agio traspare eccome), convince e risulta credibile. Accanto ha una straordinaria Rachel Weisz (Marta Shearing), abile nell'ammaliare e nel rendere gradevole qualunque sua interpretazione, incisiva, calata alla perfezione nella recitazione. La nemesi è stavolta affidata al ben noto Edward Norton (Eric Byer), di una competenza tale da bastargli pochi istanti per delinearne il profilo, accontentandosi però di un tono modesto.
Vivamente consigliato. Non annoia, avvince grazie all'intensità costante di tensione e ritmo, si lascia apprezzare senza scollegare il cervello (anzi). Chi esigerebbe di più, da un cinema non d'autore?
L'ex-agente segreto Jason Bourne ha scoperchiato il vaso di Pandora. L'illegale programma medico e di addestramento che ha generato i superagenti, l'operazione Blackbriar, sta per essere rivelato all'opinione pubblica e la CIA punta alle pulizie di primavera: vanno eliminati gli agenti come Bourne e i laboratori in cui i farmaci necessari al programma sono stati prodotti. L'atto, condotto dal colonnello Eric Byer, trova però uno stop davanti al ribelle Aaron Cross, che non accetta di essere terminato e che, scappando, coinvolge nella fuga la scienziata Marta Shearing, ignara condannata a morte dai poteri occulti.
Il talento di James Newton Howard aiuta a non rimpiangere affatto John Powell (anzi, credo di preferire queste musiche!). Il tema principale che individua la saga, udibile durante i titoli di coda, è Extreme Ways, di Moby.
Forse interverrei solo su una parte (eccessiva) della sequenza dell'inseguimento in moto. Il resto è ok.
Lo sceneggiatore della saga diventa pure regista. Dirige con eguale (per non dire superiore) efficacia.
Aaron Cross/Kenneth James Kitsom conferma la sua naturale predisposizione al genere. Promosso.
Assorto nel ruolo dell'eminenza grigia, Eric Byer. Non sarà l'interpretazione della vita, ma trasuda carisma.
Adorabile e sicura nei panni della Dott.ssa Marta Shearing, la miglior presenza femminile dell'intera serie.
Breve cameo come Pamela Landy, che cede lo scettro di miglior presenza femminile.
L'Agente Outcome #3, senza infamie e senza lodi particolari.
Quasi una semplice comparsa, è di nuovo il Dott. Albert Hirsch.
Ritorna nei panni di Ezra Kramer, il direttore della CIA.
Forte presenza scenica nelle vesti di Mark Turso, funzionario del Governo.
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