Regia di Olivier Assayas vedi scheda film
La volontà rivoluzionaria di un gruppo di liceali parigini dopo la sconfitta del Maggio francese.
Qualcosa nell’aria è il titolo italiano del bel film che Assayas presentò a Venezia nel 2012, difforme rispetto all’originale Après Mai (dopo Maggio). La sua diversità, però, questa volta sembra assai azzeccata poiché coglie bene quanto del film arriva alla nostra percezione visiva e non solo, ovvero la persistente volontà di rottura col passato, nei giovani studenti degli anni che seguirono il '68, effetto di lunga durata delle suggestioni del ’68 (non solo francese), dopo la pesantissima sconfitta del Maggio.
Il film, infatti, racconta la ripresa della mobilitazione studentesca nei primi anni ’70, quando, per effetto della lunga durata delle suggestioni sessantottesche, nuovi movimenti cercavano di risuscitare gli ideali di quella rivolta, anche se a poco a poco l’esigenza di rifondazione dell’intera società secondo principi di giustizia e di uguaglianza stava lasciando spazio ad altre suggestioni culturali che connotavano in modo sempre più individualistico e meno politico l’insofferenza giovanile contro le istituzioni.
Nel 1971. in un liceo della banlieu borghese parigina, tra fiori e giardini splendidamente evocati in alcune bellissime scene, un gruppo di ragazzi sta portando avanti la propria rivoluzione, sulle tracce di quella da poco fallita. Gli studenti sono appena usciti dall’ adolescenza e cercano di affermare soprattutto la voglia di entrare nel mondo in piena libertà, facendo riferimento a valori forse non molto diversi da quelli dei padri, depurati, però, da ogni compromesso con la realtà.
Sebbene, infatti, pochi fra loro, duri e puri, siano disposti ad affrontare bastonate e lacrimogeni della spietata polizia francese e non disdegnino di confrontarsi con la sinistra istituzionale sui problemi della rivoluzione, la maggioranza ha a cuore la lotta contro l’autoritarismo, per la libertà individuale e sogna un futuro senza divieti e costrizioni.
La nuova rivolta, perciò, è diretta soprattutto a individuare altri e più moderni comportamenti trasgressivi, di diversa natura e anche di diverso impatto sociale: dalle scritte sui muri, ai manifesti abusivi, alle droghe non sempre leggere; dal gesto violento alla rabbia distruttiva del fuoco; dalla libertà sessuale, staccata da ogni implicazione sentimentale, all’aborto affrontato in piena e volontaria solitudine.
Dopo il “Grand Tour” in Italia, sorta di vacanza quasi obbligata dal timore di essere braccati dalla polizia francese, i percorsi di questi giovani si divideranno.
Gilles (Clement Métayler), protagonista del film, ovvero lo stesso regista da giovane, si fermerà a Firenze, dove avrà modo di meditare sulle sue scelte future, elaborando la convinzione che il proprio apporto individuale al cambiamento consisterà nel coltivare la propria creatività attraverso l’arte, la pittura e, finalmente, il cinema d’avanguardia, nel quale far confluire immagini, fantasmi e sogni a lungo discussi all’interno dello strano ed eterogeneo “collettivo” dei suoi compagni di classe.
Ora egli segue con molta affettuosa indulgenza e la coscienza dell'oggi, la lotta dei ragazzi di allora, partecipa alle loro avventure e alle loro peripezie, al termine delle quali quasi tutti avranno completato la formazione di sé, fra ideologie astratte, abbracciate con ingenua fiducia, amori, molto dolore e molta rabbia.
Il regista, dunque, ricostruendo la propria esperienza giovanile, parla anche di sé e individua (come conferma l’interessante intervista che si può leggere QUI nella “controcultura” che dilagò in Europa dopo la “Summer of Love” di San Francisco (1967), i modelli che, affiancandosi e sostituendosi a quelli della rivoluzione sociale e politica, ispirarono le lotte studentesche del “dopo maggio”.
Con la sua personale sensibilità,Assayas non si limita a evocare con sguardo esterno un’epoca irrimediabilmente perduta, ma rivive in prima persona le contraddizioni e le ambiguità di quegli anni, facendo entrare nel film molto inconfondibile materiale di allora (dalle musiche, ai documentari, ai poster, alle riviste specializzate), lasciando dell’epoca un composito affresco in cui oggetti, personaggi e ideologie, con le loro luci e con le loro oscurità coesistono e in fondo spiegano anche le luci e le ombre del mondo d’oggi.
Le cose migliori di questo complesso mosaico, assai ben costruito, si trovano, a mio avviso, proprio nella partecipazione commovente di Assayas nel seguire il processo di maturazione suo e dei suoi compagni di scuola, sullo sfondo naturale en plein air degli incontri, delle paure, degli amori incerti e talvolta dolorosamente inespressi di tutti loro, studenti sognatori che non volevano accettare la “normalizzazione” dell’Après Mai.
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