Regia di Ole Bornedal vedi scheda film
Ole Bornedal e’ uno di quei registi che seguo con interesse dal tempo degli esordi (chi si ricorda dello splendido “Il guardiano di notte”, seguito a breve distanza da un piu’ scialbo remake americano ad opera dello stesso regista nord europeo, forte di un cast all star ma tuttavia non all’altezza del folgorante originale?). Nome interessante e talentuoso di una cinematografia nordica che riesce a stupirci e a valicare i ristretti confini del proprio paese, cineasta rimasto colpevolmente sempre un po’ ai margini o in definitiva sottostimato quando coinvolto in operazioni commerciali, ma dotato a mio giudizio di una spiccata personalità e un taglio visivo molto personale, anche quando affronta budget e progetti preconfezionati come questo. Che comunque e’ pur sempre una “confezione” Raimi, mica un dozzinale Besson uguale a decine di altri…. . Certo l’ennesima storia di possessione non puo’ risultare certo originale o nuova, ma la vicenda - pur vista e rivista in ogni aspetto e degenerazione sinistra volta a ritagliarsi facili consensi da parte di un pubblico giovane, facile alla distrazione e piuttosto superficiale che mastica senza gustare la pellicola assieme agli unti popcorn che tiene nel grembo - funziona eccome, soprattutto in termini di regia e resa di suspence: una direzione che predilige le angolature ardite e gli spazi vuoti, una macchina da presa che si muove sinuosa quasi fosse mossa dallo spirito maligno che rinasce e si sviluppa all’interno della bella bambina protagonista. Anche il cast, senza star di grido ma forte di solidi attori di razza (un Jeffrey Dean Morganpiacevolmente dimagrito e una sofferta Kyra Segdwich in testa, ma pure la giovane bellissima Natasha Calis e’ davvero brava e ricorda nei tratti squisiti la giovane purezza - qui violata - di Anna Paquin delle lezioni di piano “campionane”), funziona bene, e il film, penalizzato da tanta recente concorrenza sulla stessa controversa tematica e succube pure lui di un originale insuperabile che non è neppure il caso di citare, riesce tuttavia a distinguersi da questa folta e spesso anonima o banale concorrenza grazie ad una personale firma autoriale che senz’altro manca nella maggior parte degli altri casi.
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