Regia di Scott Derrickson vedi scheda film
Da The Blair Witch Project all’inedito V/H/S, passando per Paranormal Activity, sono una moltitudine i finti reperti cinematografici che celano racconti dell’orrore, storie nascoste e perturbanti, rimossi che tornano perché immortalati da videocamere. Per il cinema horror è, come sempre, una questione morale: oggi, al tempo in cui a ognuno è data la possibilità di produrre filmati (e infatti mockumentary e finti found footage imperversano nella fiction, dal videoclip al teen movie), nei giorni in cui le immagini sono un eccesso e testimoniano segreti, momenti osceni, atti per cui Bazin inorridirebbe, la memoria di quest’immenso archivio visivo che è il mondo contemporaneo ripropone anche l’improponibile. Quello che - ci dice Sinister rimestando nei suoi cari e antichi Super8 - doveva rimanere invisibile: uno scrittore in crisi che aspira a essere Capote (si cita A sangue freddo) aggiorna il protagonista di Blow-Up, s’apparenta a quello di Twixt e si mette a indagare su home movie trovati nella nuova casa. Che è stata teatro di un omicidio: la pellicola evoca demoni in piena notte, i fantasmi si trasformano in un affare privato, ma lui s’ostina, perché cerca la pubblica virtù. Teoria: (ri)vedere è un delitto, il castigo è servito. Ci sono momenti di reale tensione, ma Derrickson (come in The Exorcism of Emily Rose) ricorre a strategie terroristiche elementari, soprattutto a un sound design fuor d’ogni coerenza estetica e narrativa. La sceneggiatura, poi, è ingenuissima: solo il protagonista non capisce chi sta filmando. Un cult, pare: non colgo.
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