Regia di Scott Derrickson vedi scheda film
Jason Blum è un nome pressochè sconosciuto ai più, ma per gli addetti ai lavori è una specie di fenomeno. Questo tizio infatti è il boss della Blumhouse Productions, la società che si è resa artefice degli exploit una serie come "Paranormal Activity"(2007), capace di incassare 10 volte il proprio costo, e per questo di figurare in assoluto tra i film più remunerativi di sempre. I motivi del successo non sempre prevedibili possono in parte essere individuate nella lungimiranza di un tycoon al passo con i tempi, e quindi in grado di impiegare al meglio i vantaggi, economici ma anche estetici offerti dal mezzo digitale. L'intuizione gli ha permesso di trasformare i difetti in virtù, se è vero che lo stile low budget, con troupe ridotte all'osso e riprese finto amatoriali, è diventato un pregio indispensabile per trasformare la ripetitività degli schemi narrativi in un propulsore di angosce e di paure.
Ecco allora che nell'ambito di una produzione piuttosto standardizzata e spettacolare, "Sinister" rapprenta una sorta d’eccezione, innanzitutto per la presenza di un regista di "razza" come Scott Derrikson, già autore de "L'esorcismo di Emily Rose"(2007), capodopera entrato ufficialmente nell'elenco dei 100 film più spaventosi, e soprattutto di un modo di fare cinema che in qualche modo, destabilizza in positivo il trend di una produzione volutamente, e solo in apparenza, improvvisata, con l’introduzione una messinscena più strutturata, caratterizzata da un equilibrio formale e da una pulizia visiva che riesce a tenere a bada anche il ricorso all’escamotage del found footage, uno dei marchi di fabbrica di casa Blum, introdotto dai super 8 che lo scrittore Eleison Oswalt ritrova per caso nella casa in cui si è appena trasferito con la famiglia per scrivere il libro che dovrebbe rilanciarne la carriera.
Detto che la storia ricalca gli schemi tipici dell' Haunted Movie in cui il film di Derrikson si colloca, a interessare è il doppio binario con cui la vicenda li sviluppa. Così se da una parte la graduale scoperta della maledizione che investe chi guarda i filmati degli omicidi seriali, e pure la successiva discesa agli inferi del protagonista, rientrano nella routine di una "paura" resa più dal punto di vista psicologico che visivo, con suoni, rumori e all'immedesimazione di Ethan Hawke a stimolare i brividi dello spettatore, dall'altra non si può non notare la spiccata sensibilità cinefila e metacinematografica. Derrikson insieme al suo co sceneggiatore (non a caso ex critico cinematografico) innestano una serie di rimandi che pescano dall'horror giapponese - Ring- ripreso nel ricorso all'oggetto audiovisivo (li era una cassetta, qui appunto i super 8) come portale per entrare in contatto con un'aldilà maligno ed invasivo, a quello americano (da Stephen King a John Carpenter) e poi soprattutto con la riflessione sul rapporto tra arte e vita (e qui si potrebbe citare il "Twixt" - 2011- di FF Coppola) presente nella volontà di Oswalt di trasportare l'esistenza all'interno del libro che vuole scrivere, e per il quale sceglie di vivere in una casa dove precedentemente è stata sterminata una famiglia. Ed ancora nella critica ad un uso dopato dell'immagine che "Sinister" manifesta quando fa si che i filmini diventino il principio ordinatore di una fenomenologia altrimenti caotica ed oscura. Letture multiple e stratificate che Derrikson maneggia senza perdere di vista le regole del genere, seppur in un contesto non troppo originale. I risultati sono apprezzabili.
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