Regia di Miguel Gomes vedi scheda film
Tabu è il terzo lungometraggio del talentuoso regista portoghese Miguel Gomes che è stato capace di vincere numerosi premi in diversi festival internazionali, incluso quello di Berlino. Parlando del film, occore innanzitutto dire che esso è strutturalmente suddiviso in due capitoli. L'uno e l'altro, legati attraverso la vita di un personaggio, differiscono enormemente per lo stile adoperato da Gomes. Prima di essì vi è però un breve incipit, che racchiude in una sorta di piccolo exemplum ciò che verrà poi riproposto nel contesto più ampio della trama principale (come l'utilizzo metaforico del coccodrillo); dopodiché inizia il primo capitolo "Paradiso perduto", il quale è ambientato in un tempo presente, dove il tratto predominante che caratterizza i personaggi principali che ci vengono presentati è la solitudine. Sole sono due donne, Pilar e Aurora: la prima è stata abbandonata da una studentessa che avrebbe dovuto ospitare, mentre la seconda è lasciata a se stessa e alle cure di una serva di origini africane, la cui presenza sostituisce quella della figlia assente, mentre qualcos'altro, appartenente sia ai suoi sogni che al suo passato, sembra opprimerla. Il secondo capitolo "Paradiso", come si evince dal titolo, è complementare al primo, ci fornisce le basi per comprendere Aurora, attraverso la melodrammatica vicenda del suo amore impossibile nei confronti di Gian Luca Ventura, avvenuta ai tempi (non troppo lontani, a dir la verità) della colonizzazione portoghese in Africa. All'epoca del secondo capitolo, Aurora è una bellissima donna, appartenente a una classe agiata, sposata, ha una relazione con un amante, è incinta di una figlia e circondata da servi; tra tutto ciò, l'unica cosa che di fatto le rimarrà di tutto ciò, nel primo capitolo, oltre all'agiatezza, è la servitù africana. Il suo destino, la vicenda della sua vita, assurgono a diventare una metafora del Portogallo odierno, del suo grigiore, della sua disillusione e della sua mentalità post-colonialista; infatti così come Aurora, nei momenti di tanta e poca lucidità, guarda alla sua gioventù nella colonia, all'amore tormentato nei confronti del genovese Ventura, allo stesso modo il Portogallo apatico di oggi guarda continuamente, con vena nostalgica, verso un passato, un'epoca imperialista che ormai non esiste più (quanto ci suonano negativi gli epiteti razzisti che l'anziana signora rivolge a Santa, la serva, e che probabilmente per la mentalità antistorica di Aurora risultano la normalità, così come il ritenersi soggetta ad una pratica magica tribale esercitata sempre dalla serva ai suoi danni). Il secondo capitolo è differente dal primo anche per lo stile, per l'utilizzo del muto, anche se effettivamente di muto vero e proprio non si tratta: permangono infatti i rumori dell'ambiente, degli oggetti, della musica, come se fossero quest'ultimi ad acquisire importanza nella ricostruzione mnemonica di Gian Luca Ventura (è infatti lui a narrarci, attraverso un voice-over, il passato di Aurora), piuttosto che le fuggevoli parole che i personaggi si scambiano. L'andamento narrativo della memoria è sottolineato inoltre anche da uno stile ellittico, ma al contempo diaristico, visto che la scansione temporale procede regolarmente di mese in mese. Film pregevole, complesso, capace di emozionare e far riflettere allo stesso tempo, qualità che di solito possiedono i grandi film.
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