Regia di Ursula Meier vedi scheda film
Nel week end dei film francesi ecco un altro piccolo grande film, coproduzione franco-elvetica ed opera seconda di quella Ursula Meier fattasi notare un paio di stagioni fa con il curioso Home.
Un film sull'importanza della famiglia, sull'indigenza di una classe sociale completamente abbandonata a se stessa, reietta in una valle che accoglie poco piu' in alto "la crème" della societa', quella che alloggia in baite lussuose e passa le giornate a sciare e a prendersi il sole nelle splendide vallate tra le Alpi elvetiche. Ad arrangiarsi per sopravvivere e' il dodicenne Simon, che vive con la sorella disoccupata in un palazzo popolare a fondo valle, e di giorno sale sulle piste per fare razzia di sci ed equipaggiamento da neve, che poi ricetta e svende a clienti piu' o meno abituali. In questo modo il ragazzo riesce a raccimolare quanto basta per sopravvivere ed assicurare pure una dignitosa esistenza alla bella sorella, giovane insicura che sembra dipendere sempre di piu' dal piccolo ma sveglio fratello. Una pellicola che ricorda, per temi e drammaticita', molta filmografia dei fratelli Dardenne, con particolare riferimento al loro ultimo bel film "Le gamin au velo", e pure il Loach degli strati sociali piu' deboli e problematici, quelli su cui piovono pietre sette giorni su sette per intenderci. Il film percorre le imprese truffaldine del giovane, a cui si aggiungono le complicita' di un ricettatore inglese addetto alle cucine della struttura alberghiera sulle piste (il Martin Compston sempre molto efficace e molto "loachano"), e si sofferma sulla sua tenera e disperata solitudine del protagonista, che lo spinge a trovare in una ricca mamma americana (una inedita Gillian Anderson) almeno un punto di contatto con cui poter comunicare, in mezzo a tutta quella assordante e affollata solitudine di turismo di massa frenetico ed indifferente. E ci rivela poco per volta segreti di famiglia che spiegano nella loro drammaticita' il bisogno di affetto e tenerezza di cui sono alla ricerca, ancor piu' dei semplici mezzi di sussistenza, questi due particolari "fratelli".
Titolato qui da noi in modo davvero anomalo (ma non lamentiamoci che e' gia' un miracolo che sia uscito nei nostri spesso superficiali circuiti!), questo "Bambino dall'alto" e' un film davvero notevole e spiazzante, figlio di quell'eccellente neorealismo europeo che e' lo specchio di una nuova drammatica poverta' (di mezzi ma anche di sentimenti) che sta travolgendo questa attuale Europa, mai cosi' divisa e a brandelli da quanto e' cosi' disomogeneamente unita. Ottimi sia Léa Seydoux, seducente e quasi star da quanto e' apparsa per pochi indimenticabili minuti nell'ultima "Mission Impossible", sia il giovane Kacey Mottet Klein. I due, teneramente abbracciati nel letto di lei quando lui arriva ad offrirle ben 200 franchi pur di non dormire da solo, sembrano davvero pure nella vita reale i due parenti stretti che la finzione filmica prevede che siano.
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