Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Le algide architetture liberty di un grande albergo termale sono la cornice simbolica ideale per un film il cui protagonista vive il passato come una sterile prigione, ed i riti collettivi come un inutile riempitivo del vuoto interiore. Lo sceneggiatore Guido Anselmi si accalca insieme agli altri ospiti verso la fonte dell’acqua curativa, o nelle sale delle inalazioni, ma sa che il rimedio concepito per tanti, nulla potrà contro il suo specifico male. L’individuo e la folla sono poli antitetici, in questo film in cui la coralità è, fino all’ultimo, un chiasso confuso, opprimente, carico di richieste assillanti a cui l’artista è, suo malgrado, chiamato a rispondere in prima persona. La crisi creativa del protagonista nasconde, in effetti, la presunta incapacità del cinema d’autore di rispecchiare in modo adeguato il mondo reale: l’ispirazione individuale rimane infatti confinata in una sfera esclusivamente personale, estranea alle esigenze dei poteri che incalzano dall’esterno, come il pubblico, la stampa, la politica, la religione. Parlare di sé significa, agli occhi della società, non avere nulla da dire, soprattutto se l’opera artistica è incentrata sul ricordo, anziché essere proiettata in direzione del futuro, verso la soluzione dei nuovi problemi posti dall’avanzare della storia umana. La memoria è, per definizione, il ricettacolo dei traumi mai superati, delle ossessioni rimaste impigliate nei cespugli dei tabù, dei discorsi lasciati a metà da un processo di crescita rimasto incompleto: è da quelle zone oscure della sua anima che Guido vorrebbe riprendere il cammino, esponendole alla luce dei riflettori, ed esaminandole sotto l’obiettivo della macchina da presa. Questa iniziativa, però, è vista dagli altri come un capriccio autoreferenziale, che prescinde dalle consolidate regole della comunicazione di massa, della produzione cinematografica e, in generale, della società dello spettacolo. La sincerità è impopolare, nello stesso modo in cui il sogno si rende nemico della realtà: valide ed importanti sono solo le domande ufficialmente scritte nelle cronache, nei saggi, nei proclami provenienti dalle autorità riconosciute, e che in quanto tali sono le concrete domande del tempo (il divorzio, l’aborto, l’emancipazione femminile, la questione comunista), mentre gli interrogativi unici ed originali che scaturiscono spontaneamente dall’esperienza e dalla sensibilità del singolo sono immeritevoli di qualsiasi considerazione. Quello che a Guido viene rinfacciato come un atteggiamento egoista, debole e incostante, in realtà è solo la manifestazione esteriore di un faticoso impegno di ricerca, che lo vede indagare affannosamente, anche attraverso il film che sta realizzando, per ritrovare, intorno a sé, il bandolo della matassa a cui si è ridotta ormai la sua esistenza di uomo, di marito e di cineasta. L’impalcatura della gigantesca astronave, puntata verso il cielo, che egli ordina di costruire sul suo set, è solo un simbolico fantoccio da dare in pasto all’opinione pubblica: un’immagine grandiosa e avveniristica eretta a protezione di un progetto che in verità stenta a prendere forma e, contrariamente a quanto suggerito dall’apparenza, non è affatto in grado di accogliere, dentro di sé, l’intero popolo degli spettatori per spedirlo a razzo in un fantastico domani. Quel mastodonte di tubi d’acciaio rappresenta la barriera infrastrutturale che separa l’artista dal resto dell’umanità: un muro fatto di tacite convenzioni di costume, parametri commerciali, filtri censori e omologazione culturale che impedisce di consegnare il prodotto artistico come un semplice messaggio trasmesso da persona a persona e sottoposto, direttamente, al giudizio libero ed incondizionato di colui che lo riceve. Solo l’assenza di vincoli ed intermediazioni lascia la mente aperta alla riflessione critica ed, evitando di soffocare a priori la coscienza, la dispone naturalmente a quell’atto di illuminata modestia che è l’accettazione, dei propri limiti e dell’altrui diversità, e dunque contempla, con serenità, anche l’eventualità di non riuscire a comprendere tutto. Questo è il significato che Fellini racchiude nel girotondo del finale e, all’orecchio attento, suona come un festoso augurio; ma l’allegra parata è, in fondo, riservata a pochi intimi, e si svolge in mezzo ad una spiaggia deserta, perché l’ottimismo è velato dalla triste certezza che i più rimarranno per sempre sordi al richiamo.
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