Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film
"Come ben sapete i programmi televisivi sono soltanto dei riempitivi tra un consiglio e l’altro su come spendere i vostri soldi, perciò se volete risparmiare…spegnete. E’ semplice, si fa con una mano e con quello che vi resta della vostra volontà, questo è il momento…ma io scommetto, che non ci riuscirete.”
Peckinpah da outsider quale era lottò per tutta la vita contro il sistema delle major, un sistema freddo e spietato che come un virus si insinuava nella sua arte contaminandola dall’interno, infettando la visione geniale e avanguardistica del regista nel tentativo (non sempre riuscito per fortuna) di renderla meno rivoluzionaria, meno potente, meno pericolosa.
La cosa divertente è che molti dei suoi film nonostante gli interventi in post-produzione, le manomissioni e i tagli restano incredibilmente immutati nella loro carica sovversiva, certo lo potevano essere di più, potevano essere come il regista li aveva pensati e girati, ma come sappiamo Hollywood segue le sue spietate regole e Peckinpah non è stato il solo tra i grandi a subire soprusi del genere.
Osterman Weekend è l’ultimo film del regista, l’ultimo ad essere stato sforbiciato da una produzione che nel bel mezzo della lavorazione si è letteralmente appropriata del film, nella versione originale, poi recuperata e inserita nell’edizione speciale del Dvd, sembra ci siano circa quindici minuti di girato in più, che invece mancano nella classica pellicola che tutti abbiamo visto.
Questa a grandi linee la storia produttiva dell’ennesimo e ultimo scempio ai danni dell’opera di Peckinpah, un affronto che tuttavia non intacca la grandezza del film, un ultima pellicola che chiude come non meglio non si potrebbe la strepitosa carriera del regista americano, lasciando un segno importante, quasi un testamento a indicare la visione di un artista sempre controcorrente e fuori dagli schemi, indomito e polemico fino alla fine.
Osterman weekend è una pellicola sorprendente perché affronta in modo diretto e senza filtri tematiche profonde e sempre attuali, un’analisi spietata del potere dei media e dell'utilizzo manipolatorio degli stessi, la televisione raccontata come arma devastante, utilizzata con modalità subdole non solo per fare opinione ma anche per decidere i destini dei governi o delle agenzie di intelligence.
La nichilistica visione di Peckinpah lascia poche speranze allo spettatore, la storia che prende spunto da un romanzo dello specialista Robert Ludlum (adattato da Ian Masters e Alan Sharp) è infatti dominata da un pessimismo di fondo che dilaga con prepotenza, segnando l’opera in modo decisivo.
E pensare che inizialmente sembra di assistere ad una scialba spy-story, vediamo la CIA guidata dal potente Maxwell Danforth (Lancaster) ingaggiare l’agente Fassett (John Hurt) con il compito di bloccare la misteriosa operazione Omega, i bersagli sono tre cittadini americani indicati come spie del KGB, per incastrare i tre viene coinvolto un loro vecchio amico di università ora anchorman di successo con il suo programma politico Face to Face, Tanner (Rutger Hauer) dovrà infatti contattare i presunti traditori e convincerli a cambiare di nuovo bandiera.
Tutto questo avverrà durante l’Osterman weekend, una riunione che si svolge da anni proprio in casa di Tanner e che vedrà tutti i vecchi amici riuniti, solo che stavolta sarà presente anche l’agente Fassett con i suoi strumenti di controllo, i suoi uomini armati e i suoi ambigui giochi.
Come dicevo sembra una storia di spie ma in realtà è tutt’altro, il film nella seconda parte cambia pelle e si trasforma, perché come dice uno dei personaggi “la verità è una bugia che non è stata scoperta”, e cosi si entra di colpo in una dimensione diversa, quella del thriller serrato e violento dove i personaggi vengono ingannati e coinvolti in un gioco al massacro, un gioco dove fondamentale risulterà la manipolazione del mezzo televisivo e il controllo delle telecamere abilmente piazzate nella casa.
Questi strumenti diventano delle vere e proprie armi che verranno utilizzate per mettere i protagonisti uno contro l’altro, in un specie di Grande Fratello dove in palio c’è la pelle dei vari “concorrenti”, in scena una serrata lotta per la sopravvivenza dove a dominare sarà infine la follia e la sete di vendetta.
Inutile dire che in questa fase Peckinpah da il meglio di se, duelli corpo a corpo impreziositi da un uso del ralenty mai fuori luogo, sparatorie nei boschi, piscine in fiamme, frecce di balestra che colpiscono silenziose e letali, il tutto condito dal solito montaggio adrenalinico in un’apoteosi di violenza degna dei migliori classici del regista.
Osterman Weekend si merita un posto di primo piano nella filmografia del regista, perché è un film corrosivo che spruzza vitalità artistica nonostante la carriera di Peckinpah fosse ormai giunta (per tanti motivi) al capolinea, ma questa pellicola racconta invece di un regista ancora graffiante come ai bei tempi, anzi lungimirante nella scelta dei suoi obiettivi e chirurgico nel modo di colpirli. Notevole infine la scelta del cast che in questo commento ho poco evidenziato, ma in scena abbiamo un gigante della vecchia Hollywood come Burt Lancaster (grandioso) e una serie di nomi importanti come Rutger Hauer, John Hurt (eccezionale), Dennis Hopper, Craig T. Nelson e Meg Foster.
Il canto del cigno di Packinpah è una bomba a frammentazione che esplodendo fotografa alla perfezione una realtà a noi molto vicina, un atto d’accusa di rara potenza che resta nella memoria per la lucidità e la cattiveria del messaggio e per la messa in scena impeccabile, nonostante i tagli dei produttori.
Voto: 8
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