Regia di Felix Van Groeningen vedi scheda film
Forse ogni nazione deve avere il suo Grande Freddo. Il film in cui i compagni dell’adolescenza si rincontrano da adulti e si scoprono estranei. E, specchiandosi l’uno nell’altro, si rendono conto che nella vita si cambia, si sbaglia, ma non per questo si cresce. Black Kelly era chiamata così perché portava i capelli neri. Adesso se li è tinti di biondo, ed è tornata nella sua città d’origine, in Belgio, dopo alcuni anni trascorsi a New York. Scopo del viaggio è chiedere qualcosa di importante alla madre, che però si trova all’estero col suo nuovo compagno. Non è più, come una volta, in casa ad aspettare il suo rientro. Ci sono però i suoi vecchi amici. In superficie sembrano ancora allegri e burloni, ma sotto sotto non hanno più tanta voglia di scherzare. Sono cupi e svogliati, hanno conquistato un’apparente stabilità, però hanno perso la capacità di sognare. Sono tristi schiavi del pragmatismo e degli obblighi familiari. Uno di loro non c’è più: si è suicidato gettandosi dal tetto di un casermone di periferia, e nessuno sa perché. La spensieratezza dei ragazzi che si sviluppa in un benessere statico, senza futuro: forse è questo il moderno decadentismo del Vecchio Continente. Uno spirito di dorata stagnazione che, almeno fino allo scoppiare delle recenti crisi finanziarie, rendeva invisibili, perché adagiati sulle proprie conquiste economiche e sociali, i popoli dei piccoli stati dell’Europa centrosettentrionale. Come, ad esempio, il Belgio. Che, in questo film, Felix Van Groeningen dipinge con le tinte luminose e rarefatte di una splendida desolazione. La generazione che ha ereditato dai genitori la tranquillità materiale ha cercato di inventarsi una nuova forma di libertà da inseguire, ma il suo breve volo è atterrato in un deserto: un luogo pulito e ordinatissimo, ma vuoto. Nessuno ha trovato ciò che cercava, né chi è partito, né chi è rimasto. A Kurt, come dice Nick, le cose sono andate bene: ha una moglie, un figlio, un cane. Lavora in proprio come venditore online, però non combina granché, visto che è psicologicamente bloccato, soffre di misteriosi attacchi di panico e di ipocondria. Frederic ha una bellissima casa, ha sposato la figlia di un ricco imprenditore, ma è completamente succube della moglie, terribilmente autoritaria e gelosa. Una volta era la spensieratezza dei vent’anni a rendere tutti uguali, adesso è il senso di fallimento. Negli svaghi che gli ex-ragazzi si concedono in occasione della loro rimpatriata, il divertimento ha le fosche e dolenti striature della rabbia e della nostalgia. Il tono del racconto è quello scanzonato tipico del filone giovanilistico, a base di bravate, scherzi e battutacce, però è sciacquato nel disincanto, nella consapevolezza che ogni tentativo di rivivere il passato si esaurisce in una pietosa messinscena. Ciò di cui i personaggi ridono è il loro modo d’essere di un tempo, quando tutto poteva essere autenticamente buffo, perché privo delle ombre prodotte dal peso della responsabilità e dei dilemmi da sciogliere. Black Kelly e suoi compagni possono provare a tornare indietro, ma niente potrà mai essere come prima: anche il lago in cui Kurt e Frederic avevano passato un vacanza insieme sembra ormai irriconoscibile. Del resto, nel frattempo sono sopraggiunti eventi dolorosi che non è possibile cancellare. Due anni dopo questo film, Felix Van Groeningen girerà De helaascheid der dingen, un amaro ritratto del disagio come condanna inappellabile, che si trasmette di generazione in generazione. Questo Dagen zonder lief (Giorni senza amore) contiene, in un contesto sociale del tutto diverso, lo stesso assunto di irrimediabilità, che nega la possibilità di risalire la corrente della storia, per andare ad aggiustare le premesse di quello che, nostro malgrado, siamo diventati.
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