Regia di Tom Hooper vedi scheda film
Ne hanno fatto di strada gli umiliati ed offesi di Victor Hugo. Dagli schermi cinematografici ai palcoscenici di Broadway la storia di Jean Valjean e compagni è stata esplorata in lungo ed in largo con un successo talmente grande da convincere Hollywood a metterne in cantiere una nuova versione, questa volta “remake” dell’omonimo musical che ha primeggiato negli incassi del settore. Per far questo gli studios non hanno badato a spese impegnandosi al meglio nella creazione del contorno scenografico, musicale, ma soprattutto nella partecipazione attoriale. Capitano della nave è quel Tom Hooper, già regista da oscar per “Il discorso del re”(2012). Con lui un cast di primo ordine tra cui spiccano Hugh Jackman (Valjean) nella parte del protagonista, Russel Crowe (l'ispettore Javert) in quelli del suo persecutore, e poi Anne Hathaway (Fantine) in un cameo che riesce a lasciare il segno nonostante l’esiguo minutaggio. Nel ricordare che “Les Miserables” è la storia di una redenzione che si compie nella Francia post rivoluzionaria ad opera di Jean Valjean, ex galeotto folgorato sulla via di Damasco disposto a recuperare il tempo perduto occupandosi di poveri e derelitti, a colpire di più del film sono due cose: la prima è l’anomalia di un musical che non prevede coreografie danzanti ma piuttosto una partitura ininterrotta di canzoni chiamate a sostituire dialoghi praticamente inesistenti. La seconda è una messinscena che pur potendo contare sulla “grandeur” tipica del genere, con scene di massa, costumi e ricostruzioni d’epoca non appare sfavillante e colorata come in altre occasioni. Hooper interpreta alla lettera le parole del grande romanziere con una messinscena pauperista, concentrata quasi esclusivamente sul volto degli attori, spogliati del loro divismo e chiamati a tradurre con lo sguardo e con le possibilità vocali il tumulto emozionale dei loro personaggi.
Se l’allestimento è sobrio nulla è invece risparmiato in termini di enfasi emotiva, con la santita dei personaggi espressa non solo dalla loro natura martirologica, ma anche dal contesto storico, con le barricate della rivolta antimonarchica del 1832 e gli ideali di libertà e di uguaglianza affermati fino alla morte, utilizzati senza alcun intento filologico e speculativo, ma in funzione di un pathos che diventa epico grazie al contesto in cui è inserito. Immersi in un paesaggio livido e dai colori spenti, quasi sempre coperti da una fuliggine opaca che sembra riprodurre la sporcizia fisica ed anche morale che ostacola il raggiungimento di uno stato di grazia (intesa anche in senso cristiano), "I miserabili" di Tom Hooper appartengono alle cose del cuore, e come tali più che spiegati vanno sentiti ed anche compresi. Smaccatamente empatici, sono capaci di lasciare annichiliti per la forza dei loro sentimenti. In questo senso basterebbe ricordare la parabola di Fantine (Hathaway) vittima sacrificale che dà inizio all’epopea: è nella rappresentazione di un’estasi sublime resa credibile da un interpretazione di commovente bellezza che si può cogliere il nocciolo di un film che deve molto all'umanità dolente degli eroi e delle eroine che vi prendono parte. Il neo di un film tutto sommato riuscito è la sensazione di una produzione che arriva fuori tempo massimo rispetto a quanto era stato già detto dalle precedenti edizioni.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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