Regia di Tom Hooper vedi scheda film
Il cinema di Tom Hooper è da sempre il cinema degli attori: lo era stato in The Damned United, in cui un irresistibile Michael Sheen impersonava splendidamente il celebre allenatore Brian Clough o ancora nel pluripremiato The King’s Speech, dove non a caso quasi l’intero cast venne nominato agli Oscar (con la vittoria finale di Colin Firth). La formula si ripete, amplificata, anche in questo classico kolossal, adattamento per il cinema del celebre musical di Broadway, a sua volta tratto dal monumentale romanzo di Victor Hugo del 1862: Les Misérables.
Amato e celebrato in tutti gli Stati Uniti fin dal momento delle numerose anteprime disseminate per il continente, l’ultima ambiziosa fatica di Hooper incontrerà di certo i suoi primi detrattori nel panorama europeo, da sempre abituato ad un marchio registico più incisivo, fattore tra l’altro riscontrabile nei suoi esponenti; Les Misérables se da un lato esalta la spettacolarità del musical di partenza, ingigantendo il tutto grazie ad un processo che lo accomuna principalmente all’impostazione dell’opera classica più che al semplice teatro, dall’altro deve fare i conti con una regia che il pubblico non farà fatica a definire “invisibile”. Si, perché la pellicola, dotata di una pulitissima fotografia e rinforzata da una strabiliante scenografia, è composto quasi nella sua interezza da primi piani più o meno ravvicinati che riducono la spettacolarizzazione dei passaggi più movimentati della vicenda (come lo scoppio della rivoluzione).
Primi piani che vanno però ad esaltare le qualità indiscusse del suo cast, che canta, ama, ride, soffre e offre emozioni in modo naturale e spontaneo; lodevole la scelta di registrare il tutto in presa diretta (evitando quindi il playback e il ridoppiaggio in post-produzione). Una tecnica che, unita alle sue doti canore straordinarie, sicuramente permetterà a Anne Hathaway di portarsi a casa l’Oscar come miglior attrice non protagonista; in soli 15 minuti di video (!) l’attrice newyorkese ruba letteralmente la scena a tutti. L’unico in grado di reggere il confronto sembra poter essere Hugh Jackman; il suo è un Jean Valjean solido e umile, fedele trasposizione del personaggio cartaceo, ma è anche plasmato da un lavoro attoriale sofferto, e per questo premiato con la nomination a miglior attore. Insomma, una tecnica narrativa che non cederà il passo all’organicità cinematografica ma che consentirà allo spettatore di sentirsi parte integrante del film e di emozionarsi visceralmente per quanto accade nello schermo.
Da evidenziare l’ottima verve da caratteristi di Helena Bonham Carter e Sacha Baron Cohen, i quali rievocano quasi come in un déjà vu le loro rispettive performance in un altro musical recente, lo Sweeney Todd di Tim Burton. VOTO : 7,5/10
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