Regia di Tom Hooper vedi scheda film
Dove sono finiti i tradizionali fasti del musical hollywoodiano. Se ne scorge soltanto una flebile traccia, nella parte iniziale di questo film, con qualche punta di sontuosità che, per un attimo, ci fa sperare nel capolavoro. L’illusione è di breve durata, perché ben presto il racconto si disperde in una serie di forzati recital vocali di grandi attori – Russell Crowe, Hugh Jackman e Anne Hathaway - che danno il loro meglio, però non sono proprio nati per cantare. È vero che questo genere teatrale non è fatto soltanto di coreografia e coralità sinfonica, giacché vive anche e soprattutto di acuti dissonanti, dell’intensità di sentimenti vissuti nella solitudine e non sempre inseriti armonicamente nel contesto. Però qui la dimensione individuale diventa il pretesto per una frammentarietà che pone in primo piano performance artisticamente mediocri, incapaci di riempire la scena, e per di più abbandonate a se stesse da una regia poco incisiva e straordinariamente disordinata. Fotografia e montaggio sono i suoi temibili complici nel distruggere lo spirito di un’epoca, in cui l’intramontabile incanto del romanticismo incontrò la trascinante energia della rivoluzione: il fascino del dramma storico appare qui ridotto in brandelli dall’insensibilità di una macchina da presa che crede sia sufficiente saltellare in qua e in là per costruire una visione d’insieme. Il dinamismo va disciplinato dalla coerenza logica ed estetica, mentre qui la discontinuità ci viene servita come il piatto forte di uno spettacolo che si compiace della sua caotica concitazione. Del resto non bastano le note e un ritmo per fare melodia: Tom Hooper, invece, sembra riporre una smisurata fiducia nel potere affabulante dell’aria espulsa dai polmoni, ritenendo che essa, da sola, possa nobilitare anche le inquadrature più azzardate ed i ritratti meno espressivi. E intanto, approfittando della disattenzione nei confronti degli aspetti cinematografici di questo polifonico tourbillon, il registro della noia si fa strada a grandi passi, trasformando la rappresentazione delle emozioni in un ripetitivo e dilettantesco esercizio del pathos. Il povero Victor Hugo vede il respiro enciclopedico della sua poesia illanguidire nelle pose del bel canto, mentre il suo realismo del dolore e la violenta critica sociale affondano in una lamentosa esibizione di anime piangenti. Sotto il peso di questa triste tendenza al ribasso, anche l’ambizione finisce per mollare la presa, conformandosi ai toni gravi ed uniformi di una solennità di maniera. Il percorso di Les Misérables è il cammino indifferente di chi, dopo una prima boccata di ispirazione, procede tranquillamente per inerzia. Lasciando dietro si sé una lunga scia incolore. Due ore e mezza di progressiva stanchezza. Tante nominations per nulla.
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