Regia di Davide Manuli vedi scheda film
Ci sono uno Sceriffo e un Pusher (Vincent Gallo), una Puttana (Elisa Sednaoui), un Prete (Fabrizio Gifuni), una Contessa (Claudia Gerini), un Servo (Marco Lampis). Ma non è una barzelletta a cominciare così. È così che il mondo finisce: ridotto a sciocche caricature vuote, a forme evacuate, a un Bene e un Male che sono solo nominali, a maschere da recitare per inerzia. In La leggenda di Kaspar Hauser l’Asinara è il mondo («questa non è un’isola, qui non c’è né dentro né fuori»), ovvero uno stracco gioco di ruolo che non ha più senso, se non quello di tramandarsi ipocritamente, di garantire l’apparenza del suo Ordine. Quando dal mare giunge il puro, idiota e santo Kaspar Hauser i nostri eroi cercano di colonizzarlo, di ricondurlo ai propri schemi, di sfruttarlo: ma Kaspar, che non conosce il linguaggio, che non ha sesso (è un lui interpretato da una lei, Silvia Calderoni dei Motus), che non conosce profondità (sul petto ha stampato il nome, come una tautologia), semplicemente balla, estatico e epilettico. E fa ballare, come un dj. Manuli prosegue il discorso cominciato con Beket (2008, oggi di nuovo nelle sale) e vede accogliere e poi uccidere il suo Godot. In un teatro dell’assurdo frammentato, in un western alieno in vignette: tra macerie di Bene e Pasolini, tra body art e musica techno (Vitalic), monologhi letterari (di Genna) e inquadrature lunghe, rigorose e dementi, un cinema ufo, un viaggio sensoriale controsenso. Che guarda arrancare l’arroganza tragica e ridicola di chi (protagonista o spettatore) vuole piegare il mondo a sé.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta