Trama
Il principe Kaspar Hauser (Silvia Calderoni), dopo essere stato fatto scomparire dai nemici in tenera età per evitare che potesse salire al trono, appare improvvisamente su una spiaggia della Sardegna, in un lembo di terra popolato solo da pochissime persone. Qui vivono infatti la sguaiata Granduchessa (Claudia Gerini) divenuta nel frattempo regina, il suo umile servo Drago (Marco Lampis), lo spacciatore Dark Man (Vincent Gallo) che ha una relazione con la Granduchessa, il Prete (Fabrizio Gifuni), la Veggente (Elisa Sednaoui) e lo Sceriffo (Vincent Gallo). Preso in custodia da quest'ultimo nel suo fortino, Kaspar imparerà sulla sua pelle chi tra i cinque gli è amico e chi invece non desidera altro che la sua morte.
Approfondimento
IL MITO DI KASPAR HAUSER
Su Kaspar Hauser (nato presumibilmente il 30 aprile 1812 e morto il 17 dicembre 1833, a Ansbach), definito il bambino d'Europa, nel corso degli anni sono stati scritti oltre 3 mila libri, 14 mila articoli e infinite rappresentazioni teatrali, oltre che realizzati due film, di cui il più importante è L'enigma di Kaspar Hauser, che valse a Herzog il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes del 1975. Il film di Herzog è una ricostruzione storica minimalista ma accurata che rientra nell'ottica del cinema degli Anni Settanta, una precisa scelta che conferma il trend che in quel periodo seguivano i registi internazionali più originali. Sullo sfondo di un periodo storico ricostruito in maniera fedele, Herzog provvede a dare luogo a un'opera che, affrontando il secolo dei lumi, trova posto nella cinematografia mondiale accanto a capolavori essenziali come Il ragazzo selvaggio di François Truffaut, La Marchesa von... di Eric Rohmer e Barry Lindon di Stanley Kubrick.
LA VERSIONE DI MANULI
Dal film di Herzog Davide Manuli si discosta per la precisa volontà di non realizzare un remake della vicenda ormai nota ai più. Nelle intenzioni, Manuli dichiara invece di voler proseguire il lavoro iniziato con il precedente Beket, mantenendone temi e impianto narrativo. Ci sono molti elementi che collegano Beket e Kaspar Hauser. Innanzitutto, la scelta di usare il bianco e nero e l'ambientazione in un paesaggio naturale desolato e isolato, in cui non vi sono tracce della presenza umana, a cui si aggiunge la volontà di avere pochissimi personaggi sulla scena e di esplorare temi universali.
«Quando ci si approccia alla figura di Kaspar Hauser, le prime due parole che vengono in mente sono "enigma" e "mistero", utili a definire le linee incerte della storia. Io ho voluto invece aggiungere altre due connotazioni con il mio film: "surreale" e "delirante".
Riscrivendo la vicenda, non ero interessato a considerare la storia attenendomi agli eventi realmente accaduti, ma basandomi sui pochi elementi narrativi a disposizione ho voluto tratteggiare un ritratto poetico con l'uso di archetipi e metafore. E così la sua comparsa dal nulla e dal buio si è tramutata in arrivo dal mare, il suo luogo di origine è divenuto un'isola deserta, le persone che lo circondano un semplice gioco di contrapposizioni tra male e bene. Lo sforzo fatto per impartigli un'educazione si trasformano nei tentativi di farlo divenire un dj e la sua presunta santità si manifesta attraverso dei grotteschi spostamenti di oggetti, che avvengono a sua insaputa, per poi farlo ritornare al nulla e al buio, rappresentati ancora una volta dal mare, al momento della sua morte».
Note
Manuli prosegue il discorso cominciato con "Beket" e vede accogliere e poi uccidere il suo Godot. In un teatro dell’assurdo frammentato, in un western alieno in vignette: tra macerie di Bene e Pasolini, tra body art e musica techno (Vitalic), monologhi letterari (di Genna) e inquadrature lunghe, rigorose e dementi, un cinema ufo, un viaggio sensoriale controsenso. Che guarda arrancare l’arroganza tragica e ridicola di chi (protagonista o spettatore) vuole piegare il mondo a sé.
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